Ho fatto forza su me stesso tacendo per due settimane o cestinando scritti, pur ponti per la pubblicazione, che mi apparivano troppo forti e probabilmente frutto di una lettura eccessivamente severa di quanto avveniva, derivanti da  un paradigma costituzionale e culturale, forse non più attuale.

È indiscutibile tuttavia che in queste ore si sia determinata una inedita e gravissima situazione di tensione istituzionale, senza precedenti nella storia repubblicana. Una legge elettorale balorda, voluta dai capi partito per perpetuare il proprio potere e condizionare le scelte degli elettori, ha consegnato un risultato difficilmente gestibile. Tuttavia il Capo dello Stato si è mosso coerentemente a quanto ci si poteva attendere da una personalità dominata insieme dalla timidezza e da un’altrettanto invincibile rigidità. Il percorso che ha scelto sin dall’inizio è apparso contorto. Non ha avuto alcun senso, se non per mettere ulteriormente in evidenza quanto appariva a tutti chiaro, affidare i due incarichi esplorativi ai Presidenti delle Camere. In realtà ne è solo emerso che l’ipotesi di un’alleanza Centro destra intero – Cinque Stelle era intenzionalmente diretta, come poi è avvenuto, a consumare  la rottura dell’unità della coalizione arrivata prima alle elezioni. La ipotesi Cinque Stelle – PD, a propria volta,  poteva soltanto produrre un’analoga frattura all’interno di quest’ultimo Partito, arrivandovi poi molto vicino. Un percorso talmente tortuoso è servito soltanto a creare contrasti molto forti tra partiti che erano stati alleati alle elezioni ed all’interno di essi.

Rifiutando di dare l’incarico ad una personalità del centro destra con un programma aperto alla ricerca dei voti mancanti in Parlamento, il Presidente della Repubblica ha, di fatto, eluso la scelta che appariva come la via maestra. Ha così ottenuto di determinare la Lega a separare la propria strada da quella degli altri partiti dell’alleanza, spingendola verso un’anomala maggioranza con i Cinque Stelle, che sommava la pericolosità di due diversi populismi e da cui è emerso un improbabile programma politico, pieno di ingenuità e contraddizioni.  Inoltre ha accettato di incaricare un Premier, pur personalmente rispettabile, come ha dimostrato il suo lineare comportamento, che avrebbe prodotto l’anomalia, sicuramente senza precedenti, di un Presidente del Consiglio dei Ministri, non soltanto non parlamentare, ma privo di una storia politica e quindi soltanto un mero esecutore, non in grado di esercitare il delicato compito di indirizzare e guidare l’azione del Governo e dei Ministri. Tale debolezza era accentuata dalla circostanza che dello stesso Esecutivo avrebbero fatto parte i due leader dei partiti coalizzati, cui nella realtà sarebbe stato destinato il ruolo effettivo di direzione e coordinamento, in un continuo ed inammissibile compromesso tra loro. Probabilmente l’impuntatura sul nome del Ministro dell’Economia è stata nient’altro che la scelta maldestra di far fallire l’ardito esperimento, mentre sarebbe stato più lineare rifiutare di assegnare l’incarico al Prof Conte, scelta che Mattarella non ha avuto il coraggio di fare.

È indiscutibile che Il Capo dello Stato ha formalmente agito nell’ambito dei poteri che gli affida la Costituzione, ma forzandoli al massimo, dopo aver seguito un percorso poco lineare, che aveva prodotto un risultato di per se anomalo, di cui la nomina di Savona poteva rappresentare soltanto l’ultimo degli elementi critici. In effetti quella compagine suscitava obiettivamente molti dubbi di ben altro spessore rispetto al tanto enfatizzato antieuropeismo del candidato al dicastero dell’Economia.

Il risultato paradossale determina una situazione di tensione istituzionale senza precedenti. Competeva forse al Capo dello Stato una maggiore chiarezza comportamentale dal primo giorno ed una disponibilità verso una soluzione, quella della maggioranza fondata sul centro destra, che poteva anche apparirgli più sgradita, ma che non avrebbe avuto gli elementi di pericolosità, che obiettivamente erano rinvenibili nel Governo dell’incontro di due soggetti populisti di segno diverso,  senza neppure il bilanciamento di una forte guida. Non mi pare irrispettoso nei confronti della più alta carica dello Stato affermare che Mattarella ha sbagliato la conduzione della crisi,  poiché il diritto più sacro, secondo la cultura liberale, è quello della libertà di critica verso chiunque, nel rispetto delle regole comportamentali di una corretta dialettica democratica. Egli ha per altro confermato di esserne  consapevole nella sua puntigliosa, quarto superflua, ricostruzione dinnanzi alle telecamere domenica sera. Da questa pur rilevante critica, che costituisce una legittima opinione politica, sempre concessa in democrazia, fino a chiedere la messa in stato di accusa del Presidente o alle, spesso volgari e scomposte, minacce di piazza di Di Battista e dello stesso Di Maio, ne passa. Chiunque si ispiri ad una solida formazione democratica non può non considerare prevalente, sul piano del delicato equilibrio dei poteri costituzionali, l’esistenza di una maggioranza parlamentare,  che avrebbe avuto il diritto di presentarsi alla Camere per ottenere la fiducia, rispetto alla prerogativa presidenziale dell’ultima parola sulla nomina dei Ministri. Non si può quindi condividere una decisione dell’inquilino del Colle che  ha finito col limitare il diritto di formare un Esecutivo di due partiti, che rappresentano una maggioranza parlamentare, sia pure con la contraddizione di derivare da coalizioni elettorali diverse e contrapposte.

E’ adesso necessaria una fase di decantazione con un Governo del Presidente, anche di minoranza, che possa  affrontare alcune questioni urgentissime, rasserenando il clima politico  in modo che si possa profilare una nuova coalizione parlamentare coerente. Questa appare come l’unica strada per evitare necessariamente di ricorrere ad elezioni anticipate in un clima politico così acceso, che non potrebbero portare nulla di buono al Paese ed allo stesso Presidente, che, se fosse smentito dal voto popolare, dovrebbe trarne immediatamente le necessarie conclusioni, dimettendosi dal suo incarico ed aggravando ulteriormente la crisi istituzionale.

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3 COMMENTI

  1. caro De Luca, prendiamo atto della situazione: legge elettorale balorda, economia allo sfascio, giustizia non affidabile, corpus legislativo farraginoso, evasione incontrollata, debito pubblico non ripianabile …… etc. in condizioni aziendali ci si consegna alla pietà dei creditori !
    Perché non affidiamo in comodato alla amministrazione dei creditori stessi questa nostra Italia, magari proponendo in un ottica di + EUROPA di divenire una regione o un Land tedesco o francese, applicando la legislazione vigente in quei paesi, il loro sistema fiscale e di controllo, le loro leggi elettorali ? (a sovranità limitata ? si certo ma garantita dall’ IDEA EUROPA)
    saluti

  2. E’ meglio un governo elettorale che conduca gli Italiani a votare in un clima meno acceso: Peccato però che Berlusconi abbia annunciato di non dare la fiducia a Cottarelli, e che la Meloni abbia precipitosamente “alzato le barricate” in appoggio alla scelta sovranista di Salvini pro-Savona ministro, perché così facendo rischia veramente di rompere l’unità del Centrodestra da lei stessa invocata. La coalizione di Centrodestra, che ha visto leso il suo diritto di prelazione sulla formazione del governo come coalizione vincente, rischia così di passare come irresponsabile come il Movimento Cinque Stelle. Rischiamo di arrivare a nuove elezioni a settembre con i due partiti populisti ancora più forti.

  3. “La massificazione della comunicazione, sempre più superficiale e volta a colpire l’istinto piuttosto che sollecitare la riflessione, ha altresì determinato un appiattimento culturale, che, per conseguenza, ha progressivamente cancellato le differenze, l’orgoglio delle tradizioni e delle appartenenze. Il risultato è stato quindi il dilagare del populismo rispetto alla razionalità, la proliferazione di partiti personali dei rispettivi capi al posto di quelli valoriali, ancorati ad antiche regole di partecipazione democratica e rigide tradizioni culturali. Sono quindi andati scomparendo quei soggetti politici che, nella seconda metà dello scorso secolo, avevano percepito la grande emozione che Kierkegaard aveva definito “la vertigine della libertà”, riuscendo a spazzar via ed archiviare i partiti pesantemente ideologizzati ed autoritari di derivazione egheliana e marxiana”. (Stefano De Luca)

    Libertà significa anche responsabilità. Ecco perché la maggior parte della gente ne ha paura.
    George Bernard Shaw

    “Il fondamento di un una buona repubblica, prima ancora delle buone leggi, è la virtù dei cittadini”. Norberto Bobbio

    “Il vantaggio della democrazia sta in effetti nel rendere possibile il pacifico adeguamento del sistema di governo e del personale governativo ai voleri dell’opinione pubblica e nel garantire in tal modo il proseguimento tranquillo e indisturbato della cooperazione sociale entro lo Stato”.
    Ludwig Von Mises, Autobiografia di un liberale

    …il guiao principale è il popolo italiano che non vive con responsabilità e rispetto la vita quotidiana. Troppa superficialità e mancanza di personalità, quindi, schiavi.

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