Il PD ha perso una ulteriore buona occasione per evitare una figuraccia, non essendo riuscito a resistere alla tentazione di polemizzare col Presidente del Consiglio, che si è recato al G 7 utilizzando l’aereo di Stato, come tutti gli altri Capi di Stato. Se al tempo del Governo Renzi i Cinque Stelle sull’argomento avevano fatto una polemica stupida, da parte di un partito come il PD, che vanta una storia più lunga ed improntata ad un maggiore senso di responsabilità, una simile meschina polemica era proprio da evitare.
Fino ad oggi, a parte qualche incertezza, frutto dell’inesperienza durante il dibattito sulla fiducia, il Presidente Conte non ha sfigurato. Si presenta bene, cerca di non straparlare, dimostra di possedere una cultura generale, anche se non ha alcuna esperienza politica e sovente nel nuovo ruolo appare come ingessato per l’imbarazzo di non sapere come comportarsi in diversi delicati momenti istituzionali. Confidiamo che abbia tutti gli strumenti culturali per imparare presto. Rimane ovviamente il problema insuperabile di essere soltanto un esecutore non tanto del contratto di Governo, che altro non è che un manifesto di intenzioni ed una trovata propagandistica, ma di quello più serio di gestire il difficile rapporto con i suoi due vice, che rappresentano gli azionisti di riferimento della maggioranza e coloro nelle cui mani risiede il reale potere di ogni decisione importante. Ovviamente con Di Maio sarà molto più facile, non soltanto perché è il Capo politico del Partito che lo ha designato, ma principalmente in quanto, allo stato, il M5S tra i due alleati è quello che ha più interesse a prolungare la vita di un Governo in cui ha una presenza maggioritaria. La Lega, che nei sondaggi è in forte crescita, invece, cercherà di cogliere la prima occasione favorevole per andare a nuove elezioni e liberarsi dell’attuale compagno di strada con l’obiettivo di fare una nuova maggioranza con quel che resta del centro destra, assumendo la guida del nuovo Esecutivo. Tale prospettiva appare altresì facilitata dalla evidente spaccatura che si evidenzia ogni giorno di più all’interno del movimento pentastellato tra la componente di Di Maio e Casaleggio e quella che fa capo a Di Battista e allo stesso Grillo, che non perde occasioni per lanciare stoccate alla coalizione, di cui invece dovrebbe sentirsi attore principale.
Dopo la luna di miele della prima settimana, arriveranno i problemi reali. Innanzi tutto ci sono alcune emergenze sulle quali si dovrà intervenire, ma principalmente si porrà il problema delle scelte sulle priorità programmatiche e sulla relativa compatibilità economica con le esigue risorse del bilancio pubblico, sapendo bene che il Capo dello Stato sarà ben attento a non promulgare leggi prive di copertura. Di Maio si è già pronunciato a favore della sterilizzazione dell’aumento delle aliquote IVA, che costa ben dodici miliardi. Questa sembra una posizione di buon senso, ma probabilmente impedirà di poter mettere in cantiere altre riforme, che comportino notevoli costi o minori entrate. Sarebbe venuto il momento di por mano ad una politica di tagli consistenti di spese inutili e clientelari, dal momento che i partiti di Governo non dovrebbero averne i beneficiari tra i loro elettori. Sul tema della Flat tax, pur nella convinzione che a regime non dovrebbe comportare una significativa caduta di gettito, sarebbe prudente, in sede di prima applicazione, prevedere delle minori entrate. Difficilmente ipotizzabile al momento appare l’introduzione del reddito di cittadinanza, semmai si potrebbe pensare ad un modesto allargamento del perimetro di quello di inclusione.
Il vero problema tuttavia è rappresentato dal fenomeno di imprudenti posizioni assunte dai partiti della maggioranza durante le trattative per il Governo, le quali hanno causato la contemporanea crescita dello spread e la caduta del mercato borsistico, al momento difficilmente arrestabile, che determineranno un costo di diversi miliardi di euro per la finanza pubblica in conseguenza dell’aumento dei tassi sui titoli di Stato, destinati a subire un ulteriore incremento dopo la imminente cessazione da parte della BCE del “quantitative easing” nel prossimo autunno.
Lega e M5S avrebbero una sola via di uscita da tali difficoltà se coraggiosamente decidessero di por mano finalmente ad un programma serio di riduzione del debito pubblico, attraverso la vendita di beni mobili ed immobili per almeno trecento miliardi in un triennio, riducendo quindi il costo degli interessi passivi a carico dello Stato. Basterebbe cominciare con la cessione di gran parte del patrimonio immobiliare in abbandono, che non produce reddito, fino alla vendita di RAI, ENI, ENEL, Terna, Poste Italiane, aeroporti, porti, ferrovie, eccetera, approfittando che tali aziende non sono nelle mani di loro uomini e che non avrebbero le professionalità adeguate per amministrarle. Sarebbe finalmente un cambiamento epocale, che imporrebbe il rispetto di tutta l’Europa, che oggi guarda al nostro Paese con occhio critico. Saranno capaci di farlo?

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