Ho un grande rispetto per il CENSIS e per le sue accurate metodologie di ricerca sociologica. Nella sostanza mi pare condivisibile anche il cinquantaduesimo rapporto, appena presentato, fondato su approfondite analisi e ricerche statistiche. Tuttavia non ho apprezzato la scelta della parola “cattiveria” per rappresentare il sentimento diffuso nel popolo italiano. Era stata felice quella del precedente in cui si parlava di “rancore”. In effetti tale stato d’animo si è poi rivelato nelle urne il 4 marzo, quando gli elettori hanno revocato la loro fiducia ai partiti maggiori, scegliendo di sostenere robustamente i partiti populisti. Si può ragionevolmente supporre che la successiva delusione per non aver conseguito il risultato sperato con quel voto, possa aver incattivito gl’italiani ed averli spinti verso il “sovranismo psichico” di cui parla il rapporto, questo sì. Tuttavia gli italiani non sono, come afferma il CENSIS, alla ricerca di un sovrano, hanno sposato il sovranismo, intendendolo come l’antagonista al potere sovranazionale dell’Europa, che da una propaganda superficiale e sciagurata è stata dipinta come una sorta di groviglio burocratico finanziario ostile, che ha bloccato il nostro progresso. Un pervasivo sentimento di solitudine sociale che si avverte principalmente nei giovani, ha finito col vedere, a ragione o a torto, l’ingiustizia e la diseguaglianza originate da un sottrazione di potere nazionale da parte dell’UE, in un contesto imbarbarito dal fenomeno di un’immigrazione indiscriminata, che non ha visto l’Europa solidale. È vero, come dice il rapporto, che la radice di questa trasformazione va ricercata in basso, negli orientamenti popolari più profondi. La politica e le sue retoriche rincorrono, provano a compiacere questa tendenza diffusa, non di più. Il rischio che l’incompetenza e l’improvvisazione non riescano a produrre il cambiamento miracoloso promesso in campagna elettorale, potrebbe indurre gli elettori italiani ad alzare ancora l’asticella della protesta ed a fare un salto nel buio. Questo è possibile, ma non in direzione di soluzioni autoritarie. Se nascesse invece una credibile proposta alternativa coniugata con una seria prospettiva fondata su solidi elementi culturali e ideali, non ne è escluso il successo. Gli italiani coltivano il rancore della delusione, ma non sono aperti a novità rivoluzionarie più consistenti. Lo dimostra il sincero affidamento nella figura simbolica di Mattarella.
Il termine cattiveria si addice invece al popolo francese, che lo sta confermando anche in questi giorni, attraverso la guerriglia urbana dei gilet gialli, che ha precisi connotati rivoluzionari ed infatti chiede la destituzione del Presidente e la transizione verso la sesta Repubblica. Non bisogna dimenticare che quel popolo, che ha fatto una delle più importanti rivoluzioni della storia in nome di valori quali la libertà, l’uguaglianza e la fraternità, poi finì col precipitare nell’abisso del terrore e della ghigliottina, offerta come spettacolo per le tricoteuses. Gli italiani di una tale ferocia sarebbero incapaci. Coltivano un sordo rancore e cadono in scelte sbagliate nel desiderio di materializzarlo, anche vittime di una campagna mediatica distorcente, ma non appartiene loro la cattiveria, nascosta nel profondo dell’anima dei francesi, afflitti da un permanente riflesso napoleonico ed orfani della passata grandeur.
In realtà per quasi un cinquantennio l’Italia ha avuto un costante progresso, contraddicendo nei fatti il senso dell’esistenza stessa del più grande partito comunista dell’Occidente. La classe operaia si andava assottigliando, man mano che, con processi di automazione sempre più spinti, la funzione operaia stessa si trasformava ed il benessere economico aumentava. Si è registrato per molti anni un fenomeno di promozione sociale, che ha portato masse ingenti del vecchio mondo operaista a divenire piccola borghesia, la quale a propria volta sognava, e spesso riusciva, a far salire i propri figli ancora di più nella scala sociale ed in condizioni di maggiore benessere, grazie ad un più elevato livello d’istruzione, insieme ad una crescita dell’economia italiana, che si rivelava in grado di assorbire questa nuova, più qualificata forza lavoro. Sono stati successivamente commessi gravi errori. Innanzi tutto di non fare i conti con uno scenario internazionale che cambiava ed andava mettendo progressivamente fuori mercato le nostre industrie manifatturiere per la concorrenza dei paesi a più basso costo di mano d’opera, con la conseguente tentazione di molte aziende italiane di delocalizzare. Inoltre è sopraggiunta una grande crisi economico finanziaria mondiale, che se ha colpito tutto l’occidente, ha messo in ginocchio la fragile economia italiana, anche per colpa di una classe politica che non ha saputo immaginare il futuro, cercando di adeguarsi alle nuove richieste del mercato e scegliendo invece la strada pericolosissima dell’indebitamento pubblico per finanziare cassa integrazione, salvataggi impossibili, sopravvivenza o creazione di iniziative clientelari e parassitarie, apertura ad una immigrazione indiscriminata. Bisognava prendere atto che la rivoluzione digitale rendeva indispensabile cambiare radicalmente il tipo di formazione giovanile per tornare all’avanguardia del mercato, promuovendo la nascita di start up nel campo digitale e dei servizi. In effetti a causa di tale cambio epocale dall’industria tradizionale a quella tecnologica e dei servizi, che non è stato capito dalla classe dirigente del Paese, da alcuni anni l’ascensore sociale si è fermato e l’ispirazione ad una condizione migliore rispetto alla generazione precedente è stata conseguentemente frustrata, con poche eccezioni. Tutto questo è dipeso dalla mancanza di cultura e di visione della classe politica dell’ultimo venticinquennio, che si è rivelata incapace di disegnare un progetto di sviluppo adeguato. Un Paese con una forte tradizione statalista e cristiano caritatevole, ha scelto la strada dei salvataggi e dell’iniezione di capitali pubblici, anziché abbandonare le attività non più remunerative e cercare, come avrebbe dovuto, e dovrebbe ancora, di compiere lo sforzo di capire ed intercettare la grande richiesta di nuove professionalità. Invece, piuttosto che cambiare radicalmente il modello formativo, ha scelto la strada delle regalie e dei sussidi, a partire dai governi Prodi e Berlusconi, poi con Renzi ed ancora oggi con la coalizione giallo verde. Ha ragione il rapporto del Censis quando analizza il dato impressionante della rassegnazione degli italiani, rispetto ad altri popoli europei in ordine alla possibilità che quell’ascensore sociale, che si è arrestato da molti anni, possa riprendere a funzionare. Indiscutibilmente è questa la vera responsabilità di chi ha guidato e guida il Paese. Una classe politica reclutata dalla strada, priva della necessaria conoscenza, senza la visione di un progetto di sviluppo, che non ha capito in che cosa consisteva la modernizzazione e si è preoccupata esclusivamente di mantenere o rafforzare il consenso, sprecando enormi risorse in sussidi e regalie, anziché investire in formazione tecnologica di alto profilo culturale, offrendo incentivi di stimolo alle imprese per creare nuovo lavoro produttivo e rafforzare quelle aziende che hanno un now how di successo e che ancora oggi esportano e sono apprezzate, per metterle in grado di competere sul mercato globale, rinunciando ad insistere sulla scelta perdente e provinciale di concentrarsi sul mercatino locale, ormai obsoleto o sul rilancio di aziende decotte, come l’Alitalia. In fondo gl’italiani chiedono soltanto lavoro e non coltivano progetti di destabilizzazione delle istituzioni come in Francia.
