Un vecchio detto marinaro recita, “chi semina vento raccoglie tempesta”. Da molti anni, di fronte alle difficoltà di procedere sulla strada di un continuo sviluppo, come è stato ininterrottamente per il primo cinquantennio della Repubblica, è esplosa una tendenza verso il pessimismo, che, si è andata trasformando in risentimento. Nuove generazioni di politicanti di strada, incapaci di immaginare percorsi in grado di infondere nuovo entusiasmo, si sono limitate ad alimentare un sentimento di rabbia rancorosa nei confronti delle classi dirigenti che le hanno precedute. Tale clima ha prodotto un senso diffuso di rassegnata sfiducia che ci consegna un Paese ripiegato su se stesso, senza ambizioni, sogni, speranze, ma che si dedica ad una rumorosa protesta contro i privilegi e chiede soltanto la elargizione di benefici a carico di una finanza statale esausta, perché gravata da un debito pubblico enorme. Una coalizione di Governo, orientata ad accogliere tali richieste con l’unico obiettivo di inseguire il consenso, ha avviato il Paese verso la bancarotta.
Cinque anni fa il baldanzoso Matteo Renzi mise nella busta paga del proprio elettorato di riferimento un regalo di ottanta euro ed ottenne alle elezioni per il Parlamento Europeo il 40%. Il suo effimero successo, pagato con il denaro pubblico a debito, durò poco e, sommato ad altri errori, dipesi dalla sua incolta presunzione, ne ha determinato il prematuro declino, nonostante qualche indubbia qualità. Oggi, alla vigilia della successiva tornata elettorale europea, i nuovi rampanti al Governo, ripetono la stessa identica operazione di acquisto del consenso, anticipando l’età pensionabile in assoluta controtendenza col fenomeno positivo dell’allungamento della vita media e distribuendo un sussidio che dovrebbe arrivare a cinque milioni di indigenti, chiamato impropriamente reddito di cittadinanza, che altro non è che una elargizione, che alimenterà il sommerso ed il lavoro nero. La loro euforia non tiene conto dell’aggravante di una congiuntura internazionale negativa, che nella debole economia italiana, si sta trasformando in recessione, come dimostrano i dati macroeconomici della seconda metà del 2018 ed è segnalato da tutte le agenzie di rating e dalla stessa Banca d’Italia. Il rigoroso giudizio dell’ex Istituto di emissione italiano è stato tuttavia autorevolmente smentito dal grande economista Luigino Di Maio, forte del master conquistato ai tornelli dello stadio San Paolo di Napoli e sperimentato nella collaborazione alla florida azienda paterna, fallita solo per sfortuna e cinismo del mercato.
Come acutamente ha di recente osservato Giuseppe De Rita, “sfiducia e disprezzo del passato (fino quasi alla coazione a punirlo) non sono opzioni rivoluzionarie, ma regressive”.
Anziché ricordare gli anni della ricostruzione postbellica, del miracolo economico, della crescita continua fino a diventare una delle maggiori potenze economiche mondiali, grazie ad una industria edilizia e manifatturiera floride, ad una esportazione sempre in ascesa, ad un made in Italy con crescente prestigio, il Paese oggi è precipitato in un clima di disfattismo, concentrato nei confronti delle classi dirigenti dei passati decenni, che, pur tra colpe ed errori, hanno raggiunto traguardi ragguardevoli. Domina un invincibile rancore verso una generica casta del passato, che coinvolge non solo la classe politica, ma le alte sfere della burocrazia, gl’imprenditori, gli intellettuali, tutti coloro che avevano partecipato al grande cantiere di mezzo secolo di crescita. Pertanto appare cancellata ogni propensione agli investimenti, all’attrazione di capitali stranieri, alla creazione di nuovo lavoro e sviluppo, nonostante la grande fantasia del popolo italiano, unanimemente riconosciuta. Le formazioni politiche dell’ultimo venticinquennio, per affermarsi, hanno soltanto saputo demonizzare un passato, certamente con qualche ombra, ma altrettanto positivo ed a volte glorioso. Il risultato è dinnanzi ai nostri occhi, con l’ignoranza al potere, la supponenza, l’improvvisazione, l’irresponsabilità, la cancellazione della memoria collettiva, la rassegnata sfiducia.
Il fallimento di questi improvvisati seminatori di odio sociale non può tardare e faranno la stessa fine di Renzi. Il loro tentativo di abbandonare la democrazia rappresentativa, con il connesso bilanciamento e la separazione dei poteri, per imporre la democrazia diretta attraverso un’epidemia referendaria, non rappresenta, come affermano, una semplificazione della politica. Piuttosto una sua frammentazione per manipolare la volontà popolare, per complicarla, per svilirne il nobile ruolo, tornando ad un assolutismo medievale guidato da potenti centrali finanziarie e mediatiche , intente a perseguire i propri obiettivi di potere autoritario.
Ricostruire un tessuto morale e sociale lacerato sarà molto difficile, non soltanto per le disastrose condizioni nelle quali i nuovi barbari lasceranno le finanze pubbliche, ma per il più grave danno di aver alacremente lavorato per la decrescita ed aver arrestato il necessario processo di ammodernamento del Paese, togliendo, principalmente alle giovani generazioni, l’entusiasmo, la speranza esistenziale, fiducia collettiva.
Credere in se stessi, nel proprio Paese, nella propria storia sono la molla per il progresso, che non nasce per editto, ma per spinta collettiva dal basso, entusiasmo esistenziale, grande fiducia, non senza una forte etica della responsabilità ed un rinnovato rispetto per se stessi e per le Istituzioni della democrazia liberale.

236
CONDIVIDI

2 COMMENTI

  1. Eccellente questo articolo/analisi di Stefano de Luca che chiarisce molto bene in che ginepraio si trova il nostro Paese. Ma cosa colpisce con impatto tremendo? La semplice frase “Non Sarà Facile Ricostruire”: l’Italia è in uno “stato regressivo” che va oltre la crisi economico finanziaria, civile e sociale.
    Per Ricostruire c’è bisogno di un Paese compatto, determinato, tenace, senza conflitti intestini inutili, con obiettivi e strategie comuni.

  2. “La massificazione della comunicazione, sempre più superficiale e volta a colpire l’istinto piuttosto che sollecitare la riflessione, ha altresì determinato un appiattimento culturale, che, per conseguenza, ha progressivamente cancellato le differenze, l’orgoglio delle tradizioni e delle appartenenze. Il risultato è stato quindi il dilagare del populismo rispetto alla razionalità, la proliferazione di partiti personali dei rispettivi capi al posto di quelli valoriali, ancorati ad antiche regole di partecipazione democratica e rigide tradizioni culturali. Sono quindi andati scomparendo quei soggetti politici che, nella seconda metà dello scorso secolo, avevano percepito la grande emozione che Kierkegaard aveva definito “la vertigine della libertà”, riuscendo a spazzar via ed archiviare i partiti pesantemente ideologizzati ed autoritari di derivazione egheliana e marxiana”. (Stefano De Luca)

    “Il fondamento di un una buona repubblica, prima ancora delle buone leggi, è la virtù dei cittadini”. Norberto Bobbio

    “Il vantaggio della democrazia sta in effetti nel rendere possibile il pacifico adeguamento del sistema di governo e del personale governativo ai voleri dell’opinione pubblica e nel garantire in tal modo il proseguimento tranquillo e indisturbato della cooperazione sociale entro lo Stato”.
    Ludwig Von Mises, Autobiografia di un liberale

Comments are closed.