Un sondaggio di opinione circa le intenzioni di voto per le prossime elezioni europee (id est: del Maggio 2019) nei ventisette Paesi dell’Unione, elaborato dalla società di ricerca Kantar Public e pubblicato sulla stampa quotidiana, dà per molto probabile la conferma, con numeri ridotti,  dell’attuale maggioranza dell’Euro-Parlamento.

E ciò, nonostante il forte calo dei popolari (PPE) e dei socialisti (S&D).

A rendere impossibile il “ribaltone” sarebbero, da un lato, il previsto  sostegno dei liberali e dei seguaci di Emmanuelle Macròn e, dall’altro, l’esiguo apporto di voti dei seguaci del Movimento dei Cinque Stelle alle forze “della protesta”.

Di Macròn è forse inutile parlare, perché tutto ciò che lo riguarda è troppo circondato dal “mistero”: dalla sua imprevista ascesa al seggio presidenziale francese all’incredibile presenza dei gilet gialli in veste di incendiari contestatori nelle strade parigine e di altre città della “douce France”. Lo sapremo quando si troverà la “scatola nera” del caso francese.

Sulle difficoltà dei Cinque Stelle, ancora in cerca di alleati, si può dire che esse rappresentino soltanto il classico “cacio sui maccheroni” per i tecnocrati di Bruxelles e per gli gnomi dell’alta finanza occidentale, le cui fortune dipendono dal successo dell’attuale assetto parlamentare Europeo.

Senza un apporto significativo di voti da parte di tutti i movimenti della protesta, il ribaltone” rischia di non esserci e, senza “ribaltone”, non si mette in discussione l’attuale natura tecnica e non politica del vero vertice dell’Unione.

Di conseguenza: a) non si ridiscute la politica dell’austerity che blocca i pareggi di bilancio degli Stati-membri, per utilizzare i quattrini dei contribuenti  per i ripiani delle Banche in difficoltà (all’occorrenza) e per le ingenti spese del traffico di lavoratori a basso costo reclutati in Africa centrale da cosiddette Organizzazioni non governative con l’aiuto di “scafisti” e “caporali” e con l’approvvigionamento di gommoni, giubbotti salvagente, plastiche protettive, scarpe, alimenti e via dicendo; b) non si svincolano i ventisette Paesi Euro-continentali dalle corde asfittiche di un capitalismo condannato a essere solo monetario per mancanza di iniziative produttive di beni, materiali, immateriali e di servizi e di investimenti infrastrutturali; c) non si rivedono le regole del liberalismo d’antan, come hanno potuto fare, in piena sovranità, il Regno Unito di Gran Bretagna e gli Stati Uniti d’America; d) non si arresta il flusso delle imprese eurocontinentali che “delocalizzano” i propri opifici, portando il know how delle loro conoscenze produttive fuori dei patri confini e sottraendosi ai rigori di ogni tipo delle rispettive organizzazioni statali; e) non si arresta l’ impoverimento dei Paesi d’origine dei manufatti a beneficio della crescita di quelli emergenti o sottoposti a regimi dittatoriali o molto autoritari.

Non sorprende che a impedire il “ribaltone” sia la crisi del Movimento Cinque Stelle: gli errori commessi da Di Maio sono stati veramente troppi. Inoltre, ai “vaffa” di Grillo, sempre meno ascoltati, si sono aggiunte manovre acrobatiche di piattaforme mediatiche di cui oggi si cerca di leggere “la scatola nera” (meno indecifrabile di quella di Macròn) per scoprirne i misteri; è cresciuto il sospetto, avanzato su queste colonne, circa la vicinanza di quei finti rivoltosi “anti-sistema” agli interessi del capitalismo monetario voluto dalle centrali finanziarie di Wall Street e della City; vicinanza, peraltro, assolutamente analoga a quella di tutti i movimenti della Sinistra, dei Verdi e via dicendo, vero terreno di pascolo di voti per gli interessi dei Paperoni dell’Occidente.

Un discorso più serio e approfondito va fatto per i liberali della parte continentale dell’Europa, il cui terreno di coltura non è mai stato molto fertile ma che oggi sembra del tutto inaridito.

Non è sufficiente rilevare che le idee liberali rappresentino una peculiarità della cultura empiristica che fu del mondo greco-romano ed è oggi dei Paesi anglosassoni e che le tradizioni  europee del liberalismo siano nettamente diverse da quelle inglesi (e poi americane). Ciò è vero, ma non basta a giustificare l’attuale schieramento in Europa del liberali come alleati fedeli dei seguaci (cristiani o marxisti) dell’assolutismo religioso e/o ideologico.

Se tale allineamento non  è  stato privo di conseguenze negative per lo sviluppo del capitalismo produttivo nella vecchia Europa,  la collocazione dei liberali tra le forze vicine ai Conservatori inglesi e ai Repubblicani statunitensi, tentata da qualche distratto osservatore politico,  risulta del tutto impropria.

E non mancano ragioni per riconoscere gli errori di valutazione sin qui fatti da commentatori politici distratti.

Dopo l’affermazione del cristianesimo, l’Europa si è sempre mossa su un modello sociale (che oggi definiremmo “socialista” o “socialdemocratico”) che non ha mai avuto nulla in comune con i principi di libertà dell’individuo e della collettività, propri della Roma Repubblicana e ripresi in epoca moderna dalla società britannica.

Dalle teorie di Rousseau e della stessa Rivoluzione Francese non potevano derivare che idee socialisteggianti (certamente non liberali) e tali concezioni sono state profondamente assorbite anche dai movimenti che, in perfetta buona fede, intendevano ispirarsi al liberalismo.

I liberali europei, però, in buona sostanza, non hanno mai saputo veramente guardare all’individuo e al suo bisogno di libertà individuale e collettiva (come vi guardavano i Romani della Repubblica e gli Inglesi post-elisabettiani).

Il loro liberalismo si è sviluppato nella ricerca, più etica che politica (a dispetto degli insegnamenti preziosi di Niccolò Machiavelli)  di alti valori di probità, di amor patrio, di osservanza delle leggi, di giusto equilibrio nei rapporti tra i cittadini e lo Stato, di buongoverno (meramente ottativo) della res publica. La fama di persone “per bene” è stata, quindi, abbastanza ben meritata. Nessuno, però, ha mai  aggiunto che essere “per bene” non basta per aspirare a governare “bene” un Paese: occorre un quid in più, come diceva un leader del centro destra italiano  al suo preteso “delfino”.

In altri termini, il liberalismo euro-continentale si è prevalentemente contrapposto nella sua genesi e nel suo sviluppo ai sistemi settecenteschi di potere assoluto; ha visto nella conquistata sovranità delle assemblee parlamentari l’antidoto all’assolutismo monarchico; ha tentato (sempre più blandamente, peraltro) di sottrarre i cittadini al potere prevaricante della teocrazia, nelle sue diverse “personificazioni” e di tutto ciò si è ritenuto pago.

E’ comprensibile, quindi, che i liberali, dopo essere praticamente scomparsi dalla vera scena attiva della politica eurocontinentale, siano divenuti nell’Unione Europea e nei singoli Stati-membri semplici “caudatari” di democristiani (di varia denominazione) e di socialisti o socialdemocratici. E ciò, per vizio di origine e non di prava volontà.

In conclusione e per non farla troppo lunga propongo un quiz ai lettori:  se la “rivoluzione liberale” (nel senso di un ritorno alla produttività tout court del capitalismo occidentale)  non vi sarà nell’Unione Europea e se questa entità sovranazionale continuerà a marciare secondo le direttive che provengono da banchieri e bancari di New York, Londra e Bruxelles per il trionfo di un capitalismo meramente monetario; e se, infine, la medesima perderà colpi non solo nei confronti dei colossi Asiatici ma degli stessi Stati Uniti d’America e (tra un po’ di tempo) dell’Inghilterra, che hanno saputo “rivedere” le falle del loro liberalismo d’antan, di chi sarà la colpa?

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