Per chi abbia una visione laica della vita, priva, cioè, di certezze religiose (ritenute irrazionali), il Cosmo, con i suoi movimenti meccanici, simmetrici o irregolari, sembra essere del tutto indifferente alla moltiplicazione sulla Terra degli esseri viventi di natura umana, animale o vegetale e delle stesse cose inanimate. Esso appare, e verosimilmente è, distante, impassibile e incurante delle possibilità dell’Uomo di sopravvivere sulla superficie del Pianeta.
I Dinosauri furono distrutti da eventi climatici della Terra di straordinaria violenza, nell’assoluta, inalterata costanza di movimenti dei corpi celesti ruotanti nello spazio da sempre (pare che anche la nozione del tempo sia umana, troppo umana).
Da una tale visione delle cose, che prescinde dall’esistenza di un Dio pensante (e operante in conseguenza), discende che, per ciò che riguarda l’esistenza, sia umana sia animale sia vegetale, v’è una “dura legge della vita” che finisce con il prevalere sempre su tutto e su tutti. In altre parole, tale norma non scritta esprime solo la necessità oggettiva di vivere: chi è vivo, per conseguente legge fisica, è sospinto a vivere, a meno che qualcosa non si blocchi nel suo “meccanismo vitale”.
Il resto, a giudizio di una coscienza laica, sarebbe soltanto creazione della mente umana.
Certo, negli individui coesistono anche in maniera oggettivamente riscontrabile impulsi verso la generosità nei confronti dei propri simili e/o tendenze alla sopraffazione altrui (mors tua,vita mea), ma la distinzione manichea tra il Bene e il Male sarebbe soltanto un artificio verbale che non ha addentellati nella vita di un Cosmo (origine e causa di se stesso).
La stessa idea della guerra, che l’essere umano tenta di eludere nei limiti massimi possibili, suggeritigli dalla ragionevolezza, risponde a esigenze di mera sopravvivenza vitale, ineludibili a certe condizioni.
A dare un aiuto – oggettivo e non certo volontario (non si saprebbe neppure da parte di chi?) – all’istinto di conservazione della vita è il frazionamento delle presenze sul globo.
E’ noto che esperimenti scientifici hanno dimostrato che quando in uno spazio ristretto s’immettono ratti in numero sempre maggiore e crescente quei poveri animali si azzannano reciprocamente e si ammazzano vicendevolmente, sino a quando il loro numero ritorna a essere compatibile con lo spazio necessario a ognuno di essi per sopravvivere.
Sul Pianeta vengono, quindi, in oggettivo soccorso dell’uomo (perché si evita il sovraffollamento in spazi ristretti) gli oceani, il mare, le montagne, i picchi innevati o glabri, le foreste impenetrabili; tutti elementi naturali immodificabili, derivati da eventi di natura cosmica che, però, raggiungono l’effetto, certamente involontario, di tenere “separati” gli individui.
La mente umana li utilizza per circoscrivere, anche con supporti legali, politici, economici, zone del territorio mondiale, per porre confini e ostacoli più che all’incontro (voluto sino a un certo punto) allo scontro (fortemente temuto) di popolazioni diverse.
Quelle delimitazioni costituiscono lo strumento più utile per creare condizioni di convivenza pacifica di persone con diverse, anche se parziali e persino insignificanti, conformazioni strutturali derivanti da condizioni climatiche e territoriali differenti.
Esse favoriscono condizioni di crescita culturale e di costume consone alle condizioni effettive di vita e solidificano, accanto all’identià individuale, quella della collettività per così dire “di appartenenza” (tribù, nazione, unioni volontarie di Stati e via dicendo).
In questo quadro globale del Pianeta, la parte Mediterranea dell’Europa “giardino del mondo” e l’Italia, “più bella aiuola” (del giardino) hanno potuto sviluppare condizioni di vita umana invidiabili, coniugando la razionalità di filosofi empiristi e saggi (i presocratici) alla scienza di fisici e di astronomi scientifici per capire, nei limiti del possibile, la regole abbastanza impenetrabili del Cosmo.
Se, però, l’Europa, “giardino” del Pianeta (per una serie di caratteristiche favorevoli che è persino inutile enumerare) e se l’Italia, “sua più bella aiuola” hanno condotto il Vecchio Continente dagli iniziali fulgori all’attuale declino, vuol dire che qualcosa non ha funzionato (e forse tuttora non va) nella testa dei suoi abitanti.
Gli Europei avevano imparato e imposto il rispetto per la polis, per la res publica, acquisendo la consapevolezza dell’importanza, ai fini di una pacifica convivenza, dell’idem sentire in uno spazio liberamente e concordemente delimitato.
Ai tempi antichi della Grecia e di Roma i nostri antenati avevano immaginato, per il conforto degli esseri umani più deboli intellettualmente e più instabili emotivamente persino l’esistenza di divinità fantasiose ma molto umane, talvolta “incazzate” ma più spesso pacioccone e tolleranti che avevano gli stessi difetti e i medesimi capricci dell’Uomo e che aprivano le porte dell’Olimpo (che era pur sempre un monte di una parte concreta della terra) a divinità diverse provenienti da altri contesti territoriali; avevano creato le condizioni per una prosperità crescente…..ma……non erano riusciti e debellare dal Pianeta l’invidia dei vicini più sfortunati.
Un recente caso della cronaca torinese ci insegna che un essere umano può persino uccidere, in singolar tenzone, se infastidito dalla felicità altrui, espressa da un sorriso!
A livello collettivo, popoli diseredati e poveri, nati e vissuti in terre aride e brulle, in deserti e su monti arsi dalla calura, in zone impervie e inaccessibili con prati di erba rinsecchita, adatta soltanto a pasti grami del bestiame, abituati a convivenze incivili, caotiche, aggressive e violente (dove gli esseri umani di sesso femminile potevano essere lapidati se infedeli al maschio e gli omosessuali perseguitati e messi a morte e dove, persino, lo sperato conforto della religione si trasformava, repentinamente, in motivo di guerre fratricide e inarrestabili) possono essere indotti a non accettare l’esistenza di terre con abitanti felici; e a imporre le loro idee, dominate dal sentimento della morte e da una visione cupa della vita terrena, accettata soltanto per la speranza di gioie in un ipotizzato aldilà.
L’errore che i popoli liberi e felici devono evitare è di affidare la cura dei fiori, soprattutto quelli della “aiuola più bella”, alle rozze mani di cammellieri e carovanieri del deserto, di ruvidi pastori di montagna, di pescatori affamati di mari poco generosi; soprattutto se questi ultimi possono contare, nel giardino, sull’aiuto di cosiddette “quinte colonne”( i filosofi cosiddetti “idealisti” da Platone agli hegeliani).
Ed, invece, è proprio avvenuto ciò, alle nostre latitudini. Con la complicità di Imperatori romani, debosciati e imbolsiti, l’Europa si è avviata, duemila anni fa, a percorrere il suo cammino nei secoli bui dell’oscurantismo più fitto in nome di un “ecumenismo” astratto e ipocrita che alla fine di quel buio tunnel si sarebbe incontrato con un’altra idea universale, ugualmente folle come tutte quelle che si fondano su principi e non su dati concreti, la globalizzazione, voluta dai super-ricchi della Terra, che mantenendo l’unicità di un Dio, l’avevano individuato nel Denaro (e non più in quello della tradizione biblica).
L’Europa, uscita dal tunnel dell’oscurantismo teocratico, monarchico, tirannico e via dicendo diventava prigioniera degli stessi banchieri “globalizzatori”, cresciuti nel suo seno: al precedente servaggio si sostituiva quello verso i Tycoon della Finanza d’oltremanica e d’oltreoceano e verso i funzionari bancari spediti a Bruxelles per eseguire gli ordini dei primi.
In più, l’Europa avendo abbandonato i principi di libertà della Roma repubblicana e della democrazia greca e accettando di vivere senza alcun pensiero veramente libero, quando “sposava”, in alcuni suoi settori politici, le idee del liberalismo, lo faceva con i condizionamenti ideologici religiosi (Cristiani, cattolici e protestanti) e/o politici (Idealisti tedeschi), in maniera, cioè, del tutto priva di quella duttilità di interpretazioni che può derivare soltanto da concezioni empiristiche e pragmatiche. E così mentre i Paesi Anglosassoni, rivedendo le regole sulla libertà degli scambi (di merci e di persone) possono porsi con misure economiche adeguate nuovamente nelle primissime posizioni dei grandi Paesi produttori di ricchezza (Cina, India, Russia e altri), riparando i danni di numerose delocalizzazioni industriali provocate dai dislivelli verificatesi nel mercato del lavoro e fermando flussi migratori deleteri per la pacifica convivenza delle loro collettività (e utili, invece, solo a mantenere in piedi, a beneficio delle banche elargitrici di credito, un’industria manifatturiera zoppicante e non più competitiva, per l’alto costo del lavoro), l’Unione Europea continua a sprofondare in baratri economici sempre più profondi.
Senza che, purtroppo, si veda, allo stato, alcuna luce al fondo dell’oscura galleria.
