In un mondo, come quello Occidentale, dominato dalle fake-news diffuse da un sistema mass-mediatico (stampa e televisione) completamente in mano delle centrali finanziarie e delle banche ( o, comunque, da esse ricattabile) e da incontrollabili social e/o piattaforme di oscura origine e natura, la sincerità dei leader politici è destinata a diventare sempre maggiormente la loro dote più apprezzata.
E ciò anche perché, in Italia, dopo il recente risultato delle votazioni Europee, si può avere una sufficiente certezza che il Paese reale, o almeno quello degli elettori (il mondo degli astenuti resta insondabile) sia sempre più in grado di percepire quali leader affrontino veramente i problemi con determinazione e quali, invece, cincischiano su retrive giaculatorie ripetute da sempre con stantia convinzione.
Solo usando il linguaggio della logica e del raziocinio con una sincerità scevra dalle furbizie tradizionali ci si potrà allontanare dai luoghi comuni del “politichese”.
Parlare ai cittadini con la necessaria chiarezza, priva di schermi tattici con effetti deformanti, significa smettere di considerare i governati come dei minus habentes,ancora bisognosi dei predicozzi edificanti (tipici dei parroci di campagna o di periferia o dei politicanti di provincia e/o dei loro servi mediatici).
Per cominciare, un leader di governo dovrebbe dichiarare, apertis verbis, che il suo ruolo “politico” è quello di curare solo ed esclusivamente gli interessi della polis che lo ha eletto e non assecondare le emozionalità passionali che prova un quidam de populo(in quanto credente, convinto o per sola convenienza, di una fede religiosa o fanatico seguace di un’ideologia politica astratta e sedicente salvifica dei destini dell’intera umanità).
Salvare dalla mosca negli occhi i bambini dell’Angola o proteggere dall’Aids le popolazioni convinte per ragione di fede a non usare contro quel rischio mortale i profilattici è certamente qualcosa che può toccare nel profondo dell’anima un individuo sensibile e indurlo a opere personali di beneficenza e, se lo ritiene giusto, anche d’impegno cosiddetto “missionario” (Veltroni docet) ma non deve assolutamente distrarlo, se è eletto dai cittadini di una data comunità, dall’obbligo di fare “politica” (cioè, giova ripeterlo, di attenersi soltanto alla cura degli interessi della “polis”) e non opere di misericordia, ispirate dalla religione o da una ideologia sedicente (spesso falsamente) umanitaria.
Facciamo degli esempi. Un errore che un leader di governo di un Paese membro di una collettività (che, come quella dell’Unione Europea, ha voluto allargarsi sino ai limiti attuali) dovrebbe evitare è quello di nascondere le reali esigenze di contrastare l’immigrazione selvaggia nel Vecchio Continente.
Affermare, invece , (tenendo, magari, tra le mani un rosario o invocando la Madonna) che bisogna impedirla soprattutto per evitare morti in mare di innocenti, vittime di perversi e callidi trafficanti di nuovi schiavi è certamente una verità (etica) ma essa ne nasconde un’altra (politica) di ben più rilevante pregnanza per gli interessi della polis.
Occorre dire, allora, chiaramente che tale azione politica mira a ridare all’Europa quello slancio produttivo che è stato ed è compromesso dalla politica dei tecnocrati di Bruxelles (esecutori di ordini di Wall Streete della City) che attraverso l’immigrazione e i prestiti (interessati) delle Banche mantengono in piedi un’industria manifatturiera claudicante, bisognosa di prestiti per andare avanti, nell’esclusivo interesse di un capitalismo che vuole essere solo monetario; e che essa zoppica, perché costretta essenzialmente a fare i conti con una concorrenza che sarebbe poco definire sleale da parte di Paesi che hanno utilizzato e utilizzano un passato di ideologie assolutistiche e dittatoriali per pagare con stipendi di fame la propria mano d’opera e vendere sul Mercato prodotti, che per effetto di ciò, sono altamente competitivi.
Si dovrebbe aggiungere che con l’arresto dell’immigrazione è del tutto coerente una coeva e contestuale contestazione del pareggio di bilancio imposta da Bruxelles precipuamente per tenere sempre a disposizione di banchieri e trafficanti di schiavi fondi sufficienti, rispettivamente, a ripianare gli (eventuali) deficit degli istituti di credito e a corrispondere le spese (certe) sostenute dai trafficanti di essere umani: reclutatori, trasportatori (scafisti e non solo), caporali, addetti all’assistenza, nei Paesi cosiddetti “dell’accoglienza”.
Non basta: bisognerebbe ancora proporre di istituire a livello comunitario dazi doganali, come ha fatto Trump per gli Stati Uniti d’America. Non sarebbe difficile, infatti, dimostrare che essi siano assolutamente necessari per impedire “delocalizzazioni” nocive all’economia dell’intera comunità, sia a livello imprenditoriale sia di forza-lavoro.
Altro errore da evitare sarebbe quello di far passare una misura “energizzante” per gli investimenti come la flat tax statunitense, per un “pauperistico” intervento in favore delle “famiglie”.
E’ vero che per fare passare l’iniziativa occorre il consenso dei novelli “comunistelli di sacrestia” (gli stessi che in direzione diametralmente opposta hanno proposto il taglio delle “pensioni”, definite demagogicamente “d’oro”, nuocendo sensibilmente ai consumi) ma ciò non può indurre a “svisare” il provvedimento suggerito da Milton Friedmann, che negli Stati Uniti sta dando risultati positivi prodigiosi proprio perché applicato nella maniera giusta (e non ipocritamente “buonistica all’italiana”).
Non è superfluo ricordare che, per molti osservatori e notisti politici ed economici, il “boom” dell’Italia dell’immediato dopoguerra fu dovuto probabilmente al fatto che il nostro sistema fiscale non tartassava, come oggi, le persone ricche, quelle, cioè, che potevano investire (in verità: non per dichiarati fini umanitari ma semplicemente per guadagnare di più, producendo più beni). E ciò fece la differenza anche con altri Paesi.
Oggi, fare una flat tax per i poveri o per la media borghesia sarebbe, a giudizio di qualche economista, semplicemente ridicolo. Essa produrrebbe solo un modesto aumento dei consumi nella spesa delle massaie ai supermercati; non di certo grandi investimenti produttivi di nuova ricchezza.
Un ultimo errore sarebbe quello di volere agire volendo tenere buoni, a ogni costo, come suol dirsi, il diavolo e l’acqua santa.
Per questa finalità può bastare l’articolo 7 della nostra Costituzione. Tale norma, comunque, pur nella sua ambigua formulazione, vuole che il nostro Stato sia indipendente e sovrano rispetto alla Chiesa nel proprio ambito.
Un leader degno di questo nome non dovrebbe conseguentemente, per ossequio al dettato costituzionale, avere inaccettabili paure e subire supinamente ingerenze e invasioni di campo. Dovrebbe, in buona sostanza, fare rispettare i diritti dello Stato; dicendolo con sincerità e convinzione, senza meschini calcoli elettorali. Anche i credenti possono essere indotti a ragionare e capire che il troppo storpia.
