Ho visto il film di Gianni Amelio, Hamamet, che, a parte la straordinaria interpretazione di Favino, non mi è piaciuto, perché si é soffermato troppo a lungo e procedendo con eccessiva lentezza, sulla vicenda umana della fase finale della vita di Craxi. Si tratta, a mio avviso, di una scelta voluta per evitare di affrontarne l’aspetto politico, che la cultura italiana della sinistra post e neo cattocomunista non potrebbe consentire, nonostante la fase in cui esercitava un potere di stampo dittatoriale appaia superata. Il film tuttavia, anche per la coincidenza con il ventennale della morte di Bettino Craxi, ha consentito di aprire una ormai non più rinviabile riflessione sulla importante figura del leader socialista, come sull’intera vicenda del crepuscolo e della fine della cosiddetta Prima Repubblica.
Nella mia mente sono affiorati tanti ricordi, molti dei quali sepolti da lungo tempo. Intravidi Craxi per la prima volta agli inizi degli anni sessanta, quando mi affacciavo alla politica universitaria e lui ne stava uscendo, ma dopo aver lasciato l’impronta di una importante personalità, di cui tutti parlavano con ammirazione. Lo persi di vista durante la fase della sua esperienza politica milanese, fino al grande cambiamento del Midas in cui, in un sol colpo, fece fuori tutta la vecchia classe dirigente del PSI e ne assunse un controllo di stampo quasi militare.
Erano gli anni del terrorismo con la strage della scorta e il rapimento di Moro. Pur essendo influenzato dalla opinione prevalente della linea dura di uno Stato sovrano che non doveva scendere a patti con le BR, mi incuriosì la linea trattativista dei socialisti e mi sforzai di capirla, anche se continuava a non convincermi del tutto. La violenza di piazza s’intensificò e vennero gli anni di sangue delle stragi dell’estremismo rosso e di quello nero, con la occulta regia, rispettivamente, da una parte dei servizi segreti dell’URSS ed in particolare della Stasi, dall’altra di quelli americani con la complicità di quelli italiani cosiddetti deviati. La dimensione internazionale dello scontro nasceva dalla circostanza che l’Italia, ancora in piena guerra fredda, pur essendo parte dell’Alleanza Atlantica e principalmente Paese di frontiera con il più forte partito comunista dell’intero occidente, progettava un compromesso storico tra cattolici e comunisti, tra loro culturalmente molto simili, ma che non era gradito agli Usa e tanto meno all’URSS. Anche se le nebbie processuali e le distorsioni dei media hanno cercato nasconderlo, i due estremismi contrapposti risultarono sostenuti dalle due superpotenze militari avversarie. Erano anche gli anni della crisi petrolifera, nei quali il nostro Paese, come aveva già cominciato Mattei pagando con la vita, fu a lungo protagonista di un doppio gioco con il mondo arabo per garantirsi l’approvvigionamento energetico indispensabile ad un apparato industriale in crescita. Questo non piacque affatto agli americani ed il punto di massima crisi fu il 29 maggio del 1980 quando, nel corso di una battaglia aerea tra forze della Nato e Mig libici di scorta all’aereo su cui viaggiava Gheddafi, informato di un agguato da parte dei servizi segreti italiani, nel cielo di Ustica, fu abbattuto un DC9 civile, mentre il dittatore riuscì ad allontanarsi ed uno dei Mig precipitò sulla Sila. I vertici dell’aeronautica militare italiana furono costretti a negare, anche sotto giuramento e la magistratura penale non riuscì a venire a capo del mistero, mentre la verità dei fatti, anche se parziale, alcuni decenni dopo, fu consacrata da una sentenza civile della magistratura palermitana, che condannò lo Stato al risarcimento in favore di alcune delle vittime.
Gli anni particolarmente difficili della Presidenza del Consiglio dei Ministri di Craxi coincisero con il mio ingresso in Parlamento ed ebbi modo di ammirare lo statista, pur continuando a nutrire una certa istintiva antipatia per l’uomo, dotato di una eccessiva dose di arroganza, anche se rivelava un temperamento determinato e lungimirante. La vicenda di Sigonella e la gravissima tensione conseguente al fronteggiarsi di militari armati USA da una parte e carabinieri dall’altra, mostrò in pieno la dimensione della personalità del Presidente del Consiglio dell’epoca, rivelatosi capace di infliggere agli americani, che si consideravano padroni dell’Italia, un’umiliazione senza precedenti. Purtroppo il gesto orgoglioso di Craxi perse ai miei occhi molto del suo valore, quando, dopo aver giustamente rivendicato la sovranità sul proprio territorio nazionale, consentì poi ai terroristi, responsabili del sequestro della nave Achille Lauro e dell’uccisione di un cittadino americano, di fuggire. Evidentemente Craxi doveva pagare al mondo arabo il prezzo dei favori ricevuti con la propria doppiezza, che lo aveva reso inviso agli americani. Tutto questo ricevette una chiarissima conferma, anni dopo, quando alla ricerca del Tesoro di Craxi e dei legami con Mediaset, la magistratura milanese, scoprì che venti miliardi erano stati utilizzati dal leader socialista per finanziare Arafat. Apparve chiaro in quell’occasione che le tangenti che riceveva Craxi non erano finalizzate all’arricchimento personale, mai dimostrato, ma a finanziare la politica interna ed internazionale. La sua particolare attenzione verso il mondo arabo gli consentì di finire i suoi giorni come esule rispettato in Tunisia e non come recluso in Italia. Paradossalmente invece la vittoria politica sul comunismo dopo la caduta del muro di Berlino, anziché favorire la realizzazione del sogno craxiano dell’assorbimento della sinistra nella casa madre socialista con il declino, che sembrava inesorabile, del PCI, produsse l’effetto opposto. Gli USA non avevano più interesse a proteggere e sostenere l’Italia al confine di una Cortina di ferro ormai caduta, mentre decisero di farle pagare la doppiezza dei suoi Governi, colpendo i due maggiori esponenti politici italiani, Craxi ed Andreotti, che consideravano loro nemici.
Con un dispendio enorme di risorse finanziarie fu abilmente creato il clima mediatico giudiziario per distruggere l’intero sistema politico della penisola, salvando il vecchio PCI, che aveva soltanto cambiato denominazione e non rappresentava più un pericolo per la sua collocazione internazionale. Capitan Borrelli, insieme al maresciallo Di Pietro ed agli altri sottufficiali del Pull, s’incaricarono di procedere all’annientamento della classe politica che aveva diretto il Paese ed il sistema mediatico, con il sostegno di una mobilitazione senza precedenti della cosiddetta società civile, misero alla gogna i partiti di Governo, i loro più autorevoli rappresentanti ed i vertici dell’economia pubblica e privata. Cominciò la quotidiana pioggia degli avvisi di garanzia, degli arresti e della gogna mediatica, alla quale alcuni non resistettero e non seppero trovare altra strada che quella del suicidio. L’opinione pubblica inferocita anche per la recrudescenza di attentati gravissimi e destabilizzanti, fu facilmente convinta da una unanime campagna di informazione falsata, che l’immenso debito pubblico ed il dissesto del Paese derivassero dalle ruberie della classe politica corrotta, mentre nessuno fu in grado di far comprendere, che, in realtà, i problemi della finanza pubblica erano conseguenza delle spericolate riforme del periodo del compromesso storico, dallo Statuto dei lavoratori, alla riforma sanitaria, alla istituzione della cassa integrazione, a quella sui punti di contingenza, la cui spirale perversa fortunatamente era stata fermata da un referendum, che rappresentò la maggiore vittoria politica di Craxi. Tali enormi costi a carico dell’erario, avevano dissanguato un bilancio statale che non aveva risorse inesauribili, mentre le tangenti, che c’erano e riguardavano tutti i partiti, potevano aver avuto un’influenza solo marginale, avendo contribuito a far lievitare i costi dei lavori pubblici. In quel momento fu decapitata l’intera classe dirigente della politica nazionale, che, pur avendo qualche demerito, aveva assicurato ricostruzione, sviluppo sociale, crescita economica e culturale, fino a far ammettere la piccola Italia, sconfitta nella seconda guerra mondiale, nel ristretto consesso dei grandi della terra.
Andreotti fu salvato da Cossiga che lo nominò Senatore a vita , ma dovette affrontare due tremendi processi, dai quali, dopo anni di strenua e puntuale difesa venne assolto, anche se, in quello di associazione mafiosa, sulla base di affermazioni di un pentito risultato inattendibile,venne dichiarata la prescrizione per i fatti precedenti al 1980, al fine di dare una qualche soddisfazione alla procura palermitana, che con spropositato dispendio di energie economiche ed umane, aveva costruito una barcollante accusa. La sua immagine internazionale di sette volte Presidente del Consiglio ne uscì ingiustamente infangata, ma morì nel suo letto e con la soddisfazione dell’assoluzione. Craxi invece dovette riparare all’estero, ricorrendo alla generosa protezione del governo tunisino e, successivamente, non poté curarsi come sarebbe stato necessario di fronte al rischio che, una volta rientrato in Italia, sarebbe stato certamente arrestato. Finì quindi i propri giorni non soltanto nel dolore dell’infamia e dell’esilio, ma forse prematuramente rispetto a quanto sarebbe potuto avvenire se si fosse potuto curare nel proprio Paese con medici e strutture di ben più alto profilo.
Credo che sarebbe arrivato il momento di una riflessione più approfondita e veritiera sulla vicenda politica di Craxi e di quel periodo buio della nostra storia, cominciando a cercare finalmente tutta la verità sul filo conduttore probabilmente unitario della lunga stagione delle stragi, durata circa un ventennio e terminata nel 1993, con le connesse complicità, le cui spiegazioni ufficiali non convincono e quindi non possono consentire ad una grande Nazione di riprendere il normale cammino della propria storia, a partire dalla verità.
Purtroppo la qualità dell’attuale classe dirigente e la decadenza generale del livello di confronto politico, inducono al pessimismo e non s’intravede, a breve, uno spiraglio per un radicale cambiamento, che, partendo dalla ricerca di quelle verità oscurate, possa creare le condizioni per un futuro diverso ed all’altezza del ruolo internazionale, che competerebbe al Bel Paese.
