Il magistrato antimafia, oggi al CSM, Nino Di Matteo ha colpito mortalmente in diretta televisiva durante la trasmissione di Giletti l’avvocaticchio Bonafede, rivelando che nell’ottobre del 2018 l’inadeguato Ministro della Giustizia gli aveva offerto il ruolo di capo del DAP. Il giorno successivo, quando il magistrato si era recato al Ministero per sciogliere positivamente la riserva, gli era stato risposto che era stato nominato il Dott. Basentini  e che in cambio gli sarebbe stata offerta la poltrona di Direttore  Generale degli affari penali, che si sarebbe liberata in breve tempo. Di Matteo rifiutò. Tornata di attualità la questione per gli errori che hanno imposto la sostituzione al vertice del DAP dello stesso Basentini con il più qualificato Dott. Petralia, che vanta una lunga esperienza nella Procura antimafia di Palermo, il Dott. Di Matteo, con la cattiveria tipica di chi non dimentica, è intervenuto in diretta per raccontare l’episodio, facendo capire, con la complicità  del conduttore televisivo, che il cambiamento di opinione del Ministro probabilmente derivava dalla reazione contraria molto violenta venuta dall’interno stesso del mondo carcerario. Bonafede, confermando la sua ingenua inadeguatezza, poco dopo interveniva, anche lui telefonicamente, balbettando insignificanti giustificazioni, incentrate sull’argomento che la Direzione degli affari penali fosse più importante. Di Matteo, gelido, ha ribadito quanto affermato prima, sottolineando che il suo intento non era quello di fare polemiche, ma di raccontare fatti incontrovertibili, ammessi dallo stesso Ministro. Questo avveniva domenica sera, mentre milioni di italiani erano dinnanzi ai teleschermi.

Tentiamo di ricostruire l’antefatto. Di Matteo aveva mostrato in più occasioni le proprie simpatie per i Cinque Stelle e per il giustizialismo ostentato dal Movimento, contribuendo al risultato elettorale molto lusinghiero delle elezioni del quattro marzo 2018. Durante la formazione del Governo giallo verde quasi tutti gli organi di informazione, unanimemente, avevano  previsto la nomina del magistrato antimafia a Ministro della Giustizia, ma evidentemente tale scelta deve essere stata recisamente respinta dalla Lega. La nomina a Ministro del povero Bonafede fu quindi il casuale ripiegamento su una piccola persona che aveva il solo merito di aver presentato al Movimento il Prof. Conte, successivamente accettato, anche dall’alleato, come Capo del Governo. Con l’evidente intento di ricompensare Di Matteo, lo sprovveduto neo ministro gli aveva successivamente offerto l’incarico di direttore del DAP, ma, appena si era diffusa la notizia e prima dell’accettazione dell’interessato, la nomina venne immediatamente stoppata. Molte sono le indiscrezioni sulla causa di tale dietrofront, dalle minacce venute dall’interno del mondo carcerario, a quelle della delinquenza organizzata, più probabilmente fu l’alleato di Governo a porre un veto non discutibile.

Di fronte alle polemiche insorte per gli errori gestionali di Basentini, che lo stesso Ministroha dovuto in fretta sostituire col più esperto Petralia, Di Matteo, da vero professionista calcolatore, ha consumato la sua vendetta a freddo, con una telefonata fatta in diretta alla trasmissione di Giletti. A questo,punto al povero avvocaticchio di Mazara del Vallo non rimane quindi che la mesta strada delle dimissioni, perché se volesse resistere, rischia di rimanerne travolto. Si aprirebbe tuttavia un serio problema per il Governo Conte, non soltanto per le dimissioni di un Ministro che è a capo di un dicastero importante come la Giustizia, ma perché il medesimo è anche capo delegazione del M5S in seno all’esecutivo. Tale evento potrebbe essere il colpo di grazia ad un Governo molto traballante per il modo pedestre e dilettantesco con cui ha gestito la crisi da COVID 19, tra bugie, provvedimenti annunciati e poi modificati, soldi promessi e mai arrivati agli interessati, una serie di divieti, molti dei quali non giustificati, ma, principalmente, per le reiterate violazioni delle norme costituzionali, avocando al Presidente del Consiglio poteri di emergenza che la Costituzione non prevede, con un abuso di atti amministrativi, privi di potere normativo, anziché scegliere lo strumento del Decreto Legge, con l’intento palese di estromettere il Parlamento e di produrre una lesione profonda all’interno di un  sistema, fondato invece sull’equilibrio dei poteri. Ne discende che, come un effetto valanga, la caduta del sassolino Bonafede, potrebbe far precipitare l’intero Esecutivo e la coalizione in una crisi non arrestabile, da troppo tempo ormai latente. La soluzione è nelle mani esperte del Presidente della Repubblica, che dovrà scegliere se mandare il Paese ad elezioni anticipate in un momento reso più complicato anche per la limitazione della libertà di movimento, o se nominare un Governo di Emergenza Nazionale, da affidare ad una personalità di indiscussa competenza e prestigio internazionale, senza maggioranza precostituita e che dovrebbe cercare il necessario sostegno in Parlamento per la fiducia.

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