Non si era ancora spenta l’eco degli applausi fragorosi al “coraggio leonino” del primo ministro Italiano, difensore accanito del “buon diritto” dell’Italia ad accaparrarsi una cospicua quota dei fondi Europei, quando sull’orizzonte politico si è stagliata nuovamente la figura di Mario Draghi.
In un’Europa (post pandemia del Coronavirus) spaccata in due: da una parte i Paesi “frugali”, “duri”, “cattivi” (Olanda, Svezia, Danimarca, Austria, Finlandia) orientati a non disperdere il denaro che sarà elargito agli Europei in mille rivoli di beneficenza; dall’altro: gli Stati “dissipatori”(”amorosi”, “buoni”, “generosi”) sempre alla ricerca ostinata di sussidi, di redditi di varia denominazione, di bonus da distribuire ai propri cittadini, l’ex governatore della BCE si è posto come il Mediatore per eccellenza, messianicamente atteso.
Con parole criptiche ma intese da chi doveva interpretarle, Draghi ha dato un “contentino” ai Paesi del Nord Europa, che, studiando l’esempio degli Inglesi e degli Statunitensi, avevano intuito che l’Europa si stava avviando inesorabilmente verso il tramonto della sua era industriale (e ciò, verosimilmente, non era nei loro voti di potenze di prima grandezza nel panorama mondiale).
Con parole blande ma chiare Draghi si è unito alla condanna degli Stati del Sud Europa che parlavano unicamente di redistribuzione di un reddito che andava assottigliandosi (se non scomparendo, progressivamente senza mai un accenno all’idea di aumentarne la soglia complessiva) e ha fatto un richiamo alla necessità di investimenti produttivi.
Europeisti convinti, ma non fino al punto di desiderare un nuovo feudalesimo dove la moneta sia al posto del latifondo e i bancari dei servi della gleba, i “frugali” Paesi Nordici possono dire di avere avuto una rivincita contro i “dissipatori” Paesi Meridionali. Nell’utilizzazione in mille rivoli “pauperistici” dei fondi europei, senza “investimenti” a sostegno della società industriale (aiutandola a sopravvivere e a non affogare) la miriade di sussidi, redditi, bonus, cunei fiscali e via dicendo non v’era la soluzione della crisi dell’Unione Europea spaccata in due.
Naturalmente, v’è chi non esclude che al minuetto cui stanno assistendo gli Eurocontinentali vi sia una sorta di “gioco delle parti” in commedia.
Ciò che sembra certo è che quella di Giuseppe Conte non sia stata una prova di coraggio, di fermezza e di determinazione, ma di mero, interessato calcolo di sopravvivenza politica.
Senonché è prevedibile, dopo l’intervento di Draghi, che proprio la scelta del leader italiano di “capeggiare” la “rivolta” dei “dissipatori” gli possa procurare la perdita della poltrona .
La sua “vittoria gloriosa” potrebbe trasformarsi, nel giudizio di chi la pensa come Draghi, in “un’ignobile “resa” del leader governo giallo-rosso italiano (democratici, liberi e uguali, Italia viva, movimento 5 stelle) alla politica dei tecnocrati di Bruxelles contraria alla ripresa industriale degli Stati-membri dell’Unione Europea.
Qualche notista politico ha collegato la prova del callido inganno agli abitanti del Bel Paese all’inedita alleanza con Francia e Germania, nostri amici-nemici “storici”.
In realtà, la posizione della Germania favorevole alla “dissipazione” è apparsa come una “novità” imprevedibile.
Prima dell’enorme diffusione del Coronavirus, Angela Merkel, con il pretesto di volere “armonizzare i sistemi di tassazione vigenti negli Stati membri dell’Unione come condizione necessaria per aumentare le risorse finanziarie, aveva tentato di dare una “stretta” agli altri popoli europei, approfittando delle circostanze favorevoli offerte dalla minaccia dell’incipiente epidemia.
Parlando di entrate, la leader tedesca non aveva fatto alcun cenno al controllo centralizzato e uniforme anche delle spese; se lo avesse fatto avrebbe fatto balenare agli Stati-membri dell’Unione l’idea di un’entità politica autonoma e distinta dai singoli Paesi, con un proprio bilancio e con regole valide per tutti gli abitanti dell’Eurocontinente. In altre parole, sarebbero state necessarie norme abolitrici delle diversità esistenti tra i vari Stati-membri, corrispondendo, in pratica, alla domanda di chi si chiedeva perché avrebbero dovuto continuare a coesistere nello stesso contesto umano sistemi che puntavano su misure pauperistiche ed emergenziali, come redditi di cittadinanza, sussidi, pensioni a quota-cento et similia e altri che si riproponevano, invece, soprattutto un rilancio del sistema industriale con adeguati investimenti produttivi per raggiungere un più alto livello di ricchezza.
La pandemia con il suo imprevedibile sviluppo ha cambiato le carte in tavola.
Le ragioni del mutamento possono essere molteplici.
In primis, spregiudicatamente utilizzata esso può consentire di accelerare il perseguimento dell’ obiettivo degli anonimi e occulti magnati della Finanza e dei loro servili e ben pagati tecnocrati di Bruxelles. Se, infatti, per anni, si erano dovuti accontentare di relegare l’attività produttiva di tipo industriale (fatta eccezione della fabbrica delle armi, per evidenti ragioni di potere) fuori dall’Occidente (o almeno fuori dall’Europa continentale), delocalizzando l’industria manifatturiera progressivamente, in misura prevalente e crescente, in Paesi fuori dall’orbita occidentale, concedendo agli imprenditori che delocalizzavano i propri opifici prestiti e mutui dalle Banche, ora possono tentare di dare il colpo gobbo (mortale) alla società industriale, anticipando i tempi della nuova società feudale.
In una tale prospettiva sarebbe ben vista una gara di “buonismo propositivo”. Firme note al grande pubblico hanno auspicato, infatti, la destinazione di molti fondi al Sud-Italia, dimenticando o fingendo di non ricordare la disastrosa esperienza della Cassa per il Mezzogiorno con strade iniziate e finite nel nulla, ponti realizzati per poche arcate e poi abbandonati e via dicendo. Non pochi hanno asuspicato la costituzione dell’ennesima Commissione Bicamerale, come organo di controllo della spesa, come se quelle precedenti avessero dato qualche risultato. La maggioranza degli esperti (o presunti tali) ha raccomandato ai governanti di spendere bene il denaro che verrà elargito da Bruxelles, “ritrovando lo spirito del secondo dopoguerra mondiale”.
Ovviamente nel rievocare quei tempi ricchi di fervore ricostruttivo, chi ha pronunciato o citato l’invito a bene operare ha sentito l’obbligo di menzionare uomini della tempra di Alcide De Gasperi, Ezio Vanoni, Raffaele Mattioli; ha omesso, naturalmente, di ricordare che il miracolo italiano era stato quello di trasformare un Paese ancora prevalentente agricolo in una delle economie più industrializzate del mondo e ha finto di non aver capito (ma l’ipotesi che non l’abbia capito davvero per molti non è così sballata) che oggi il proposito (in mente retentum) dell’alta Finanza sia quello di fare sperperare un bel po’ di denaro per impedire la ripresa dell’economia industriale.
Pochi hanno ricordato e sottolineato le differenze, enormi, tra la situazione generale di quei tempi lontani e quella di oggi.
E ciò, mentre gli Italiani si cimentavano a “discettare” sui problemi di sempre (sovvenzioni al Mezzogiorno, aiuti alle Aree depresse, rigore nella spesa e via dicendo) e, delusi, dal dopoguerra a oggi, dalle false promesse dei democristiani, filo-clericali e codini, delle stentoree affermazioni di onestà dei comunisti e dei fascisti, smentite clamorosamente dai fatti, le une e le altre, perché tradite dai loro stessi comportamenti con atti di ladrocinio al governo dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni, delle pubbliche Istituzioni e nella vita privata (approfittando di cariche pubbliche) nessuno rilevava che la pubblica economia era allo sbando e senza speranza di salvezza per l’intento perfido dei banchieri.
La sortita di Draghi, ispirata evidentemente dal timore dell’exit di altre Nazioni, dopo la Gran Bretagna, ha rimesso, come suol dirsi in gergo calcistico, la palla al centro.
(Il seguito ai prossimi numeri)
“Questo articolo non rappresenta la linea del PLI, ma viene volentieri ospitato su Rivoluzione Liberale, che come linea editoriale da sempre pubblica tutte le opinioni del variegato mondo liberale .”
