L’attacco del New York Timesa Donald Trump sulle sue asserite evasioni fiscali e pretese connessioni (definite: preoccupanti) con la Russia, alla vigilia del dibattito televisivo con Joe Biden, la dice lunga sul pericolo che il Presidente degli Stati Uniti rappresenti per le lobbiesbancarie anglo-americane.

In Nord-America qualche commentatore, ancora indipendente dal sistema mass-mediatico in mano all’Alta Finanza ha avuto il coraggio di scrivere che il colpo per mettere k.o. Trump è stato sferrato in modo maldestro ed è andato a vuoto, ma in Italia c’è stato subito qualche “zelota” che ha definito, senza darne alcuna prova, il leaderstatunitense un “evasore-bugiardo” e lo ha paragonato a Berlusconi, senza neanche aggiungere: si licet parva componere magnis.

Il livello infimo raggiunto in Italia dalla polemica politica dovrebbe suonare come un campanello d’allarme per i fautori del culto della libertà, ponendo loro problemi di “metodo”, perché, come dice a ben altro proposito, padre Dante nel canto V dell’inferno,  talvolta è il modo con cui si dipana lo scontro politico che “offende”  più di ogni altro aspetto di sostanza.

L’idea di libertà comprende il rispetto dell’uguale diritto degli altri di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Lo dice la norma della nostra Costituzione (l’articolo 21) ma lo hanno detto, prima ancora di ogni legge scritta, le consuetudini educative  e il buon gusto estetico di una popolazione che è stata evoluta e civile.

Uno scrittore francese, recentemente, ha scritto che l’umanità, anche quella socialmente più progredita,  sta, purtroppo, perdendo, in misura progressiva, il gusto per la polemica argomentata e paziente.

Soprattutto gli uomini politici si ritengono autorizzati (da chi, se non da se stessi?) a utilizzare epiteti ingiuriosi per mettere alla gogna gli avversari.

In un modo, che ritengono insindacabile, trasformano la dialettica politica in una rissa infarcita di aggettivi dispregiativi, certamente volgari, nella sostanza, anche se non sempre nella forma.

Per fare degli esempi abbastanza correnti nella vita politica italiana,   sulla sovranitàsi possono avere idee diverse e, in effetti, si hanno.

Si può pensare che l’amore per la collettività in cui si vive e per il territorio su cui si abita sia la premessa di un “nazionalismo” prevaricatore e prepotente, ma si può anche ritenere che sia la legittima manifestazione della libertà di un popolo di vivere secondo le proprie consuetudini e in base alle regole di un ideale patto sociale sottostante alla propria convivenza.

Sono posizioni, entrambe, rispettabili che non dovrebbero legittimare l’attribuizione di connotazioni dispregiative alle due posizioni.

Non è ammissibile, sul piano del vivere corretto, attribuire connotazioni denigratorie a chi pensa in modo diverso dal proprio.

C’è da chiedersi  che cosa può giustificare la sicumera di chi trincia l’uno o l’altro giudizio (anti sovranistasovranista) se non una posizione di  pretesa “superiorità di chi si sente esclusivo  detentore della “verità”.

E ancora: non è questo il modo di esprimersi dei fideisti e di fanatici di ideologie salvifiche contro cui si sono sempre battuti gli uomini della libertà più propensi al dubbio che alle certezze “rivelate” da sciamani o cosiddetti  maestri del pensiero?

Gli esempi si possono moltiplicare: si può essere d’accordo o contrari nei confronti della politica di determinati uomini politici, connazionali o stranieri, ed esprimere civilmente valutazioni e giudizi sulle ragioni dell’eventuale adesione alla loro linea politica o dissenso profondo dalle loro scelte ma non è elegante qualificare con aggettivi che esprimono disprezzo le persone umane che, facendo buono o cattivo uso della loro intelligenza, si dichiarano seguaci di questo o quel leader.

In altre parole, si può essere favorevoli o contrari a Trump o a Putin, o a chiunque altro ma non è di buon gusto definire con palese disgusto trumpista, putinista (oaltro “ista”) chicchessia, senza neppure tentare di motivare l’adesione o il dissenso.

Infine, si può amare o avere dispregio per la gente che ci circonda e si può avere del “popolo” un’idea eccellente o deteriore,  ma il termine “populista” oltre che privo di senso secondo i dettami del vocabolario non può essere usato da chi ama definirsi “democratico”, fingendo di ignorare che demosè solo l’equivante greco di populus.

La verità è che l’uso di tali aggettivi-sostantivati da parte di polemisti politici riverbera una luce negativa soprattutto su chi li usa, perché denuncia allergia per la discussione e propensione alla condanna (alla cosiddetta “scomunica” di oscurantistica memoria) diretta a evitare, sbrigativamente, ogni discussione approfondita e qualsiasi  polemica motivata.

La diversità delle idee è vitale soltanto se non passa attraverso il vaneggiamento di una società uniforme nel pensiero.

I confronti dialettici, ricchi di argomenti e privi di inappellabili censure, sono il “sale” della democrazia che non a caso si appella anche “liberale”. E’ bene non dimenticarlo, nello scrivere “note” polemiche.

 

 

 

“Questo articolo non rappresenta la linea del PLI, ma viene volentieri ospitato su Rivoluzione Liberale, che come linea editoriale da sempre pubblica tutte le opinioni del variegato mondo liberale .”

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