Le relazioni internazionali soggiacciono a regole spesso controintuive e di difficile codificazione; prendiamo ad esempio il “caso Battisti”, ovvero di come un delinquente comune sia riuscito a diventare l’oggetto del contendere di due Paesi (Italia e Brasile) non certo di secondo piano sulla scacchiera internazionale.

Seguendo la nostra prospettiva, non sono i dettagli tecnici della sua lunga latitanza, inframmezzata da periodi di detenzione, a rivestire particolare rilevanza (nonostante il criminale di Sermoneta abbia avuto indubbiamente un’esistenza cinematografica, a metà fra il noir d’autore e il trash poliziesco anni ’70). Vanno invece analizzate le cause più profonde del “braccio di ferro” diplomatico che, come ultima conseguenza, ha addirittura portato l’ex Presidente Lula a disdire il suo viaggio a Roma nel timore di contestazioni per la definitiva mancata estradizione del criminale.

Il dossier Battisti essenzialmente non riguarda l’uomo. E nemmeno il significato delle sue azioni da un punto di vista politico. Viviamo in un’epoca deideologizzata, dove le battaglie non si combattono più per le idee. E nemmeno per sacrosanti diritti (come quello che hanno i familiari delle vittime nel vedere l’assassino scontare la sua pena).

Oggi, è sovente l’economia il terreno di scontro fra le nazioni. In quest’ottica, non sembra assurdo che il delinquente affiliatosi ai Proletari Armati per il Comunismo sia rientrato in una complessa partita di giro che ha coinvolto Francia, Italia e Brasile.

Le pressioni (pubblicamente smentite) di Carla Bruni sull’allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che tanto scalpore destarono in Italia a gennaio, più che da empatie radical-chic o da un malinteso spirito di noblesse oblige, potrebbero esser derivate dalla volontà francese di scavalcare l’Italia nel rapporto in via di approfondimento con il Brasile, del quale il trattato di partnership militare firmato il 24 giugno 2010 rappresentava la parte più sensibile.

Infatti, eventuali ritorsioni diplomatico-economiche da parte italiana per la mancata estradizione del terrorista, come la mancata ratifica dell’accordo, potrebbero portare al congelamento della supercommessa da 5 miliardi di Euro che andrebbe alla Fincantieri per la costruzioni di dieci navi per la Marinha do Brasil (5 fregate, 5 pattugliatori d’altura). È da ricordare che la nave ammiraglia della flotta brasiliana, la portaerei NAe São Paulo, è in realtà la ex Foch ceduta nel 2000 dalla Francia al Paese sudamericano. Per l’Italia, inoltre, si tratterebbe della prima commessa di rilievo giunta dalla Marina brasiliana, che ha già acquisito materiale da Stati Uniti, Germania e Regno Unito ed intende potenziare ulteriormente il proprio organico.

Sfruttando abilmente la pedina Battisti, quindi, i francesi potrebbero essere in grado di riuscire laddove la loro tecnica industriale e abilità commerciale avevano fallito. Un inquietante parallelo potrebbe esser tracciato con la guerra di Libia, laddove la volontà francese di entrare nel conflitto quanto più velocemente possibile si presta a differenti possibili interpretazioni (non tutte incentrate sul nobile mandato della protezione dei civili oppressi dal regime).

La realtà delle relazioni internazionali non è il dominio dei buoni sentimenti e dell’altruismo. Semmai pragmatismo e opportunismo orientano l’agire degli Stati. Quindi, prima di inscenare manifestazioni di sdegno e bruciare bandiere brasiliane, forse sarebbe più opportuno vagliare quali possibili conseguenze potrebbero scaturirne per il nostro Paese e a chi realmente interessano le sorti del bandito Battisti.

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1 COMMENTO

  1. Gran pezzo, molto ‘laico’ e tutto rivolto alla breve ma esaustiva spiegazione geopolitica del ‘caso Battisti’. Assurdo boicottare il Brasile, vero: necessario e doveroso però ricordare SEMPRE che si tratta di un palmare caso di malagiustizia e malapolitica, stavolta non italiana, a vantaggio di un criminale che per ora la fa franca.

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