LO SPAZIO NECESSITA’ PER LA SICUREZZA. LA TERRA DENUCLEARIZZATA
Pur se fondamentali, queste ragioni non sono né le sole né le più minacciose per spingere verso una prospettiva di questo genere, ve ne sono di altrettanto importanti, politiche e militari, legate tra loro ed a motivazioni di carattere psicologico, ragioni di natura tale da mettere in forse la sopravvivenza stessa dell’umanità . Cominciamo dal piano militare. Quanto si è scritto sulla bomba Atomica, saggi, articoli, trattati, autodifese, romanzi. Si è analizzato l’aspetto militare (l’equilibrio di potenza), quello economico (i limiti industriali di una potenza non nucleare), sociologico (il rischio di soffocamento delle libertà provocato dalla ragion di stato nucleare), psicologico (l’equilibrio del terrore) ecc. fino a mettere tutti questi aspetti quasi sullo stesso piano di quello principale, che è invece un altro : dall’esplosione della prima bomba atomica, nel deserto di Alamogordo la mattina del 16 Luglio 1945, il mondo è diventato troppo piccolo. Troppo piccolo per il sapere e il potere di una umanità in grado ormai di distruggerlo quasi di colpo. Contemporaneamente alla bomba, poi, le armi batteriologiche, chimiche, metereologiche ecc., che si sospetta siano segretamente sempre studiate, si sono probabilmente sviluppate, almeno a livello di conoscenza, al punto di arrivare a un possibile grado di pericolosità quasi dello stesso ordine di grandezza, sommando così l’effetto della loro possibile esistenza a quello dell’esistenza della bomba atomica, nel rendere stretto il mondo.
DISPONIBILITA STIMATA DI BOMBE ATOMICHE NEL MONDO (2018)
Mai prima, nella storia conosciuta dell’umanità, vi è stata la possibilità che l’esistenza stessa dell’uomo sul pianeta fosse minacciata da mezzi artificiali, la grandezza delle distanze e la povertà tecnologica delle armi resero ognuno dei conflitti, anche i più sanguinosi e imponenti, un fatto locale, sì che i loro effetti non furono mai così grandi da interessare tutta l’umanità e da lasciare ogni singolo uomo senza una possibilità reale di salvezza individuale, prescindendo dalla sua preveggenza, furberia o fortuna. E’ davvero come se un uomo vivesse con altri uomini l’intera sua vita dentro una polveriera e, conscio del pericolo, si sforzasse di migliorare costantemente i sistemi di allarme e di prevenzione, si preoccupasse di curare l’aspetto psicologico dei rapporti con gli altri per evitare risse pericolose in un ambiente come quello, cercasse di sistemare gli esplosivi nella maniera più razionale possibile e limitasse al minimo indispensabile i suoi movimenti. Così facendo egli farebbe certo bene, ma non sarebbe molto più razionale se dividesse gli esplosivi in più fabbricati, in modo da rendere impossibile l’esplosione di tutto contemporaneamente e, soprattutto, cercasse di limitare allo strettamente necessario la sua permanenza dentro la polveriera, vivendo normalmente fuori e lontano da questa? Questa sola è la soluzione sicuramente razionale, l’unica in grado di assicurare con alta probabilità la sopravvivenza al complesso delle persone che lavorano nella polveriera e difatti è quella adottata. E oggi, il problema terribilmente attuale delle armi nucleari, può trovare un’almeno parziale soluzione proprio in questo, nel mantenere il rapporto tra pericoli e loro concentrazione entro limiti “più sani” (uso questo aggettivo nel senso realistico del termine, non in quello auspicabile) quelli cioè in cui la probabilità di sopravvivere per la generalità non sia legata ad una serie di coincidenze fortunate, ma una ad una “relativa impossibilità” di distruzione per tutti, grazie a una terra denuclearizzata. Perché le attività pericolose, anche non belliche, esistono, di tutti i tipi. Si tratti di produrre certi composti, reagenti o altro, si tratti di coltivare talune spore o batteri per studi medicinali o infine si cerchino volontariamente armi biologiche e chimiche, tali attività esistono e la loro presenza sul nostro pianeta è un rischio potenzialmente mortale e non solo perché siamo tanti e a contatto di gomito, ma anche e soprattutto perché la Terra è un isolato, unico e unito sistema. Lasciando ad alcuni la speranza che non succeda mai niente (neanche in un futuro in cui tali attività saranno ancora più frequenti), ad altri quella che gli uomini rinuncino (tutti) a tali attività ( ammesso e non concesso che la cosa sia poi veramente possibile ) e infine ad altri ancora quella che il cielo resti il luogo privilegiato delle previsioni degli astrologi e dei sogni degli innamorati, è invece proprio su qualche astro minore e particolarmente ostile, che tali attività andrebbero possibilmente concentrate. Perché la speranza sarà l’ultima a morire, ma noi non vorremmo essere i primi. Solitamente tali attività (le più pericolose di esse) sono già, per la loro natura, abbastanza concentrate in impianti tenuti lontano e protetti da costosi sistemi di sicurezza, oppure vengono portate avanti con fasi, luoghi e procedimenti separati, per diminuirne la pericolosità, per cui non dovrebbe essere impossibile trasferirle nel tempo su altri pianeti o su stazioni orbitanti, visto che, per questioni di sicurezza, i procedimenti sono già comunque particolarmente costosi e in un certo modo tenuti separati dal resto del ciclo industriale.
Sarà ancor più costoso, ma, almeno per alcune di tali attività, assolutamente necessario. Tutte le bombe e i sistemi nucleari militari, trasportati al di fuori della terra, divieto di detenzione, produzione, stoccaggio di tali sistemi regolato da una convenzione che legittimi i controlli e fissi il principio di sanzioni collettive contro la nazione non ottemperante. Non è né impossibile, né inutile, né arbitrariamente discriminatorio. Non è impossibile. Per quanto strano sia (è uno degli aspetti sorprendenti della personalità umana) gli uomini combattono in quella cosa che distrugge vite e assetti civili chiamata guerra, che, per sua natura, dovrebbe essere quindi la negazione totale dell’ordine e del rispetto umano, eppure si sono mostrati (e più volte) capaci di farlo rispettando (o quasi) delle regole codificate. L’esempio più famoso è probabilmente quello della Convenzione di Ginevra, ed il fatto più significativo è senz’altro quello del mancato uso di gas tossici durante la Seconda Guerra Mondiale, perché non furono usati in larga misura da nessuno dei belligeranti, nemmeno dalla Germania (nonostante il suo sciagurato regime) neanche quando fu vicina al crollo ed alla devastazione totale e nonostante avesse, in grandi quantità, gli aggressivi più efficienti per distruzioni su vastissima scala (i gas nervini del tipo Tabun e Sarin) e i mezzi per renderli operativi (le V1 le V2 e i sottomarini). Molti altri esempi si potrebbero fare, da Roma e Firenze dichiarate città aperte e salvate dalla totale distruzione (che risparmiò anche Parigi) al Trattato di Washington sulle relatività navali e la limitazione del tonnellaggio delle corazzate, fino all’etica cavalleresca di quei signori in uniforme che furono i piloti della Prima Guerra Mondiale. Si sono viste guerre tra stati circoscritte alle truppe coloniali oltremare, un intervento americano in Corea e Vietnam ristretto nel solo ambito del territorio conteso, la guerra tra Roma ed Albalonga risolta (secondo la storia leggendaria) soltanto tra Orazi e Curiazi.
Quello che invece, almeno finora, non si è mai visto, è l’assenza completa di conflitti, in questo nostro vecchio pianeta.
Anche tecnicamente non è impossibile. Gli imponenti apparati nucleari, che rassicurano e gratificano le grandi nazioni bellicose, siano sottomarini, bombardieri, mega missili o altro possono già (e ben maggiormente potranno) essere sostituiti da stazioni orbitanti, missili planetari, raggi laser e altro ancora, ed in una maniera sufficientemente lenta ed articolata da essere accettata. Si dovrebbe partire da una nuova convenzione (in ambito ONU, ma con tempi e modi forzatamente dettati dal “direttorio” delle grandi potenze nucleari) articolata in due fasi, che stabilisse intanto il divieto di procedere alla progettazione, costruzione ed installazione di nuovi sistemi di armi nucleari terrestri. In un tempo stimabile in 25-30 anni, tali sistemi diverrebbero relativamente obsoleti (ed eliminabili, come già successo) mentre le nazioni militarmente nucleari utilizzerebbero i quattrini (che purtroppo avrebbero in ogni caso speso in tale settore) per creare sistemi d’arma spaziali. Finalmente quando le ambizioni militari delle grandi potenze ed il progetto di denuclearizzazione terrestre non fossero più, grazie alle armi spaziali, in completa contraddizione, si potrà procedere alla fase due, che provochi la distruzione di tutti gli ordigni nucleari terrestri superstiti e abbia per scopo ultimo e sperato, la dichiarazione di principio della Terra “zona franca nucleare globale” in caso di conflitto. Sembra un libro dei sogni e, insieme, una mesta rinuncia all’esigenza più grande : una pace vera e piena. Non lo è, non lo è assolutamente e vediamo perché. Non è inutile. Nel caso che si riuscisse veramente a dichiarare e a mantenere la terra zona franca, esclusa da scontri nucleari, ciò è abbastanza evidente, ma anche nel caso ci si dovesse limitare alla dislocazione delle armi nucleari al di fuori dei confini terrestri, i vantaggi di una tale convenzione sarebbero enormi. Anzitutto per i tempi di reazione, perché si potrebbero fissare, ad esempio, i limiti minimi di stazionamento consentito ad almeno molte ore dalla terra, con il ché i tempi di reazione all’aggressione si allungherebbero significativamente (oggi, per i missili, sono di pochissimi minuti) facendo diminuire quell’enorme tensione da stato di allerta permanente, che è, di per sé, di un’estrema pericolosità, inoltre il lungo tragitto permetterebbe di distruggere molto più sicuramente l’eventuale missile sfuggito al controllo e infine renderebbe più costoso e addirittura proibitivo per i piccoli paesi militaristi, ( in generale meno strutturati, meno “adulti” delle grandi potenze ) accedere ad un armamento nucleare e infine praticamente impossibile farlo segretamente. Insomma più difficile una guerra per errore o paranoia. Il primo di Agosto 1914, nel pieno della crisi provocata dall’attentato di Sarajevo seguito dall’ultimatum austriaco, l’ambasciatore di Germania a Londra, principe Lichnowsky, telegrafò al cancelliere Tedesco che la Gran Bretagna sarebbe restata neutrale e che avrebbe cercato di garantire la neutralità della Francia, nel caso il Reich si fosse astenuto dall’attaccare in occidente attraverso il Belgio. Il Kaiser cercò allora di salvare il salvabile per ottenere, se non la pace per la rotta di collisione tra la Russia e l’alleato austriaco, almeno la delimitazione della guerra al solo fronte orientale, urtandosi però al rifiuto, accompagnato da offerta di dimissioni, del comandante dell’esercito, maggior generale Von Moltke, di fermare la concentrazione delle truppe. Moltke, tabelle di mobilitazione alla mano, gli dimostrò che, qualora non si fosse provveduto entro al massimo tre giorni a dare il via alle operazioni di chiamata alle armi e concentrazione contro la Francia, non vi sarebbe più stato il tempo sufficiente a battere quest’ultima prima dell’intervento Russo, come previsto dallo Schlieffen nel piano, lungamente studiato, che prevedeva di sfruttare la differente velocità di mobilitazione (calcolata in un mese e mezzo) tra i due alleati della coalizione avversaria. Tre giorni, tre giorni al massimo, per prevedere se la Francia sarebbe rimasta neutrale secondo il desiderio inglese, oppure avrebbe seguito l’alleato Russo, tre giorni per indirizzare verso oriente o verso occidente il movimento dei treni militari, tre giorni passati i quali la Germania si sarebbe trovata o volontariamente in guerra anche con la Francia (e l’Inghilterra) o in balia di una sua eventuale decisione ostile (dato che, in quest’ultima ipotesi, la massa delle truppe tedesche sarebbe stata concentrata all’est ). Si sa come andò a finire, la lealtà all’alleato austro-ungarico, la paura dell’intervento francese e la fedeltà ai “piani prestabiliti” fecero sì che il tre di Agosto del 1914, le truppe tedesche entrassero in Lussemburgo, segnando la distruzione di una grande fase della civiltà europea. Ma non è questo che qui ci preme ricordare, quanto piuttosto un fatto sconvolgente: il tempo che oggi è lasciato ad ognuna delle grandi potenze per decidere se lasciare o no partire i missili, non è di tre giorni, ma è dai 5 ai 10 minuti. Cinque o dieci minuti, dallo stadio finale di allerta atomico paragonabile all’ultimatum del luglio 1914, per un alto comando ( e se fino a ieri avremmo automaticamente pensato solo ai due grandi, svariate sono ormai le potenze con capacità strategica ) per decidere, non solo se attaccare, ad esempio, gli Stati Uniti, ma anche tutti gli alleati degli Stati Uniti, cinque o dieci minuti per valutare se tali paesi rifiuteranno (o potranno rifiutare) di appoggiare gli USA. Cinque o dieci minuti, per ogni potenza nucleare balistica, per difendersi o attaccare, così che oggi i due termini hanno un significato che ormai si confonde completamente. Ancora nel primo e nel secondo conflitto mondiale, Italia e Stati Uniti entrarono in guerra in fasi successive, a causa sì del meccanismo infernale, ma a seguito di decisioni autonome e di vedute particolari, oggi, in caso di scontro improvviso tra le potenze, le nazioni minori legate ad una alleanza e sedi di basi strategiche (come i missili Francesi e Britannici, oppure i radar di scoperta, le piste per bombardieri, i porti per sottomarini nucleari della NATO ) si potrebbero trovare in guerra senza che, non solo i loro popoli, ma nemmeno i loro governi ne avessero conoscenza, poiché una potenza potrebbe non voler rischiare un attacco atomico da parte di un alleato del nemico, prendendo tempo per capire le sue reali intenzioni, dato che l’unico modo sicuro di impedirgli di offendere è di distruggere subito le sue infrastrutture e i suoi missili prima della partenza in volo. Sarebbe l’equivalente, per i milioni di cittadini appartenenti a questi stati, della morte improvvisa per infarto collettivo. Un infarto nucleare. La limitazione allo spazio delle armi di distruzione di massa, sarebbe insomma una notevolissima garanzia contro una guerra per errore o incidente o paura. E scusate se è poco. Vi è poi un altro aspetto, che riguarda l’operazione trasferimento in generale ed è quello altrettanto importante, legato al concetto che si vuole avere dell’uomo ed anche a quello già esposto di cultura nucleare. I cultori dell’assurdo amano credere (o far mostra di credere) che la sicurezza dell’uomo sia garantita dall’equilibrio del terrore, che, a parte il fatto che assomiglia all’ipotesi di dare a tutti i passanti un coltello per evitare che, sapendosi armati, litighino, significa in pratica credere che le guerre scoppino per motivi razionali, anche se abbietti e che si possa evitare la “grande guerra” sfruttando, in maniera opportuna, quel sentimento irrazionale che è la paura. Per costoro ogni tentativo di rendere meno inevitabile la distruzione totale in caso di guerra, attraverso sistemi d’arma difensivi come laser o missili antimissili (che sarebbero probabilmente risolutivi contro bombe provenienti dallo spazio) costruzione di rifugi o attraverso il confinamento lontano degli scontri è sbagliato perché rende “razionalmente” concepibile ed attuabile una guerra. Questo modo di pensare è forse il più pericoloso che si sia visto nella storia dell’umanità, perché, partendo dalla misconoscenza dell’anima umana, accompagnata inoltre da disistima, può portare, dritto, dritto, alla catastrofe. Le grandi guerre catastrofiche da Alessandro Magno e Attila fino ai due ultimi conflitti mondiali, passando per la Guerra dei Trent’anni e il confronto Cristianesimo – Islam, non sono state mai solo guerre economiche, ma, anche (e probabilmente soprattutto) guerre psicologiche, in cui l’interesse è stato, almeno in parte, una scusa per dare una sia pur abbietta copertura “razionalistica” a pulsioni emotive (le più incontrollate, perché irrazionali) o, perfino peggio, di natura para-religiosa, con annessa demonizzazione del nemico. I cultori dell’assurdo forse immaginano, ancora oggi, le superpotenze come pronte a scatenare la guerra non appena avessero una minima possibilità di assestare un colpo distruttore, con una probabilità realistica di sopravvivenza per le loro popolazioni (donde la loro opposizione, dissennata, alla costruzione per esempio di rifugi, perché, alzando la possibilità di sopravvivenza, renderebbero più razionalmente concepibile una guerra ) ma non è affatto così, la guerra totale oggi, se scoppierà, scoppierà solo per errore o per follia. Possibilità di errore ed occasioni di follia che sono fortemente aumentate dalla nuova situazione di moltiplicazione degli “equilibri del terrore”, tra superpotenze, potenze e potenzine, coi loro tempi di reazione praticamente azzerati e con il buio totale come prospettiva e come spada di Damocle. In questa ottica, che temo crudamente realistica, anche se per alcuni difficile anche solo da immaginare, ogni ritardo nell’espansione nel sistema solare è quindi pericoloso, ogni soldo tolto ai voli spaziali è contro la pace.
LA CONQUISTA DEL SISTEMA SOLARE. ANDATE ALL’OVEST.
Andate all’ovest ! Il grande movimento simboleggiato da questa frase è diventato epopea, ha rappresentato forse l’ultima delle terre promesse su questa terra, ma probabilmente invece solo l’ennesima della nostra storia. Crescete e moltiplicatevi. L’abbiamo fatto ed ora altre motivazioni economiche, altri problemi sociali, altre necessità di sopravvivenza e l’eterno spirito di avventura ci spingono di nuovo verso la Frontiera. Non possiamo farne a meno e forse non vogliamo farne a meno. Abbiamo sempre fatto così. Riprendiamo allora in esame i punti precedenti e vediamo perché (e subito dopo come ) organizzare i carri dei pionieri. Ricapitoliamo. Siamo tanti, oltre 7 miliardi, saremo probabilmente a un dipresso il doppio nel 2050/2100, quando la Terra sarà ancora in grado di mantenerci quasi tutti, ma forse un po’ peggio di quanto già non faccia oggi e gli scontri tra popoli e razze c’è da temere saranno peggiorati; la crisi delle materie prime, pur se mitigata da nuove tecnologie, avrà però verosimilmente fatto salire di molto i loro prezzi e aumentato la lotta per il loro controllo; i tempi di reazione militare efficace ed i meccanismi semiautomatici dei sistemi di offesa, saranno probabilmente ancora più pericolosamente critici e delicati che ora; le spinte espansionistiche e le smanie di protagonismo di popoli e governanti produrranno, in un mondo più popolato e complesso, effetti sempre più devastanti anche molto lontano dai teatri di scontro; l’integrazione ormai praticamente totale dell’economia mondiale avrà fatto quasi sparire l’autosufficienza economica, moltiplicando rapporti di dipendenza e lotte, insieme ai rischi di occlusioni e quindi di trombosi ai canali di trasferimento di merci e servizi; la rapidità di spostamento di decine di milioni di anime in continuo movimento su spazi ormai aboliti, finirà per distruggere ogni possibilità di rapido contenimento e cura di eventuali ondate epidemiche naturali o dolose; potenti grandi e piccoli, militari e terroristi, guardie e ladri, si spieranno e si condizioneranno con marchingegni elettronici e chiavi logiche. A quel punto, tra cinquant’ anni, rischieremo di avere perso o di stare per perdere la nostra libertà e il nostro benessere di occidentali (relativi, ma gradevoli) mentre i paesi più poveri potrebbero aver già abbandonato perfino le speranze di un rapido sviluppo sociale e, nel caso peggiore, in un mondo così instabile, potremmo anche porre a rischio l’esistenza stessa della nostra specie. La libertà potrebbe essere in gran parte perduta ( o mai conquistata da chi non ce l’ha) perché la prima reazione direi quasi istintiva dei governanti, a qualunque livello ed in qualunque sistema, a problemi eccezionali, è lo stato d’emergenza, laddove tale nome, reminiscente della eccezionalità per far credere ad una corta durata, significa in pratica divieto, regolamentazione, dittatura. Ora noi oggi ci stiamo incamminando, passo dopo passo, ma sembrerebbe inevitabilmente, verso uno stato di emergenza permanente. Cosa si crede che faranno gli stati del Nord ricco, se continuerà e accelererà la spinta immigratoria caotica di popolazioni del terzo mondo, con i conseguenti enormi fenomeni destabilizzanti? Molto probabilmente dichiareranno chiuse le frontiere e procederanno ad espulsioni, giustificandosi con l’emergenza e i paesi del terzo mondo potrebbero anche arrivare al divieto di figli per emergenza. I depositi di scorie, i laboratori e le basi militari, i “circuiti” militare, nucleare, biochimico, saranno sempre più grandi e sempre più sottratti alla giurisdizione civile, perché risultino protetti in caso d’emergenza. E non potrebbero gli Americani chiudere di colpo i rubinetti di credito e grano (da cui alcuni paesi dipendono quasi interamente) per emergenza? E già oggi il presidente degli Stati Uniti non ha forse (almeno in teoria) il diritto di premere il famoso Bottone atomico, in caso di emergenza? La libertà e con lei il diritto, moriranno di emergenza. Il benessere, che ha bisogno di un mondo aperto per crescere, sarebbe la seconda vittima del processo dell’emergenza e la pace generale forse il terzo. Tutto questo in una certa misura avverrà e sta già avvenendo, però potremmo ridurlo ed anche di molto, nelle sue proporzioni, fino a mantenerlo sopportabile, fino ad annullarlo. Potremmo far sì che la temuta emergenza permanente tornasse ad essere solo un’eventuale emergenza limitata, se imparassimo a considerare gli scenari futuri e a predisporre i rimedi per farvi fronte. Ma se invece quando, tra quaranta-cinquant’anni (al momento in cui vostro figlio, oggi appena nato, avrà quarant’anni e vostro nipote venti ) al momento in cui – perdurando questo stato di cose – realisticamente una prospettiva continua di emergenza comincerà ad essere stabilmente operante, ci troveremo ad aver fatto troppo poco per creare in precedenza i presupposti concreti di una conquista coloniale spaziale ( con la posa in opera di tutta una serie di strutture ed infrastrutture adatte come porti, depositi, fabbriche per produzione di navi spaziali, centrali energetiche convenienti sui pianeti ecc.) e se non avremo impostato una politica di credibilità e ampio sostegno popolare per tale prospettiva e preparato gli strumenti giuridici per renderla possibile (accordi, convenzioni, basi di un diritto spaziale ecc.) saremo nell’ impossibilità pratica di operare tale scelta in maniera rapida e incisiva. Se avremo invece operato per tempo, se avremo gettato le basi di un superamento dei nostri ormai angusti confini, potremo agire rapidamente prevenendo lo scoppio incontrollato e contemporaneo dei problemi.
In treno a 100 Km/h, 50 anni per Venere, 76 per Marte, 177 per il Sole,740 per Giove
Va iniziata oggi, insomma, subito e davvero, la conquista dello Spazio vicino, vedendo come organizzare “i carri dei pionieri”. Vespucci e Colombo (quello di cui gli abbrutiti di Antifa vorrebbero distruggere le statue) d’altro canto, fecero, in proporzione ai mezzi tecnici, altrettanto e forse di più e fu solo grazie a loro, a quelli come loro e a pochi sovrani illuminati, che duecento anni dopo la vecchia Europa poté mandare in un’America già esplorata i suoi figli in eccesso. Potremo e dovremo allora cominciare da queste prime iniziative: a) Concepire, realizzare e sperimentare un vero motore a funzionamento continuo per lo Spazio e, subito dopo, delle vere navi spaziali. b) Convenire di trasportare tutte le bombe atomiche al di fuori della Terra, c) Iniziare il trasferimento nello Spazio, nei corpi celesti più ostili e meno adatti alla vita, di tutte le attività altamente pericolose, chimiche, batteriologiche od altro e degli stock di materiali tossici d) Iniziare, con massicci investimenti, lo sviluppo di attività minerarie ed energetiche sui pianeti e) Fare i primi esperimenti di produzione agricola e di antropomorfizzazione dell’ambiente spaziale più potenzialmente adatto alla vita umana f) Iniziare il volontario trasferimento di tecnici e la fondazione delle prime città.
Dalla V2 di Von Braun fino allo Shuttle, il concetto basilare é sempre stato lo stesso, un razzo chimico che usa più del novanta per cento della sua capienza per carburante e non è riutilizzabile. I vari Jupiter, Atlas Centaur, A1, Proton, che hanno marcato i primi anni delle esplorazioni spaziali, fino al Saturno V della conquista della Luna, erano tutti evoluzioni dello stesso concetto, un razzo vuoto a perdere di potenza relativamente limitata. Pur sempre coi convenzionali e limitanti lanciatori chimici, anche in attesa dell’SLS della NASA, (che sarà comunque il più potente vettore mai costruito finora) il 2018 si è aperto con il grande successo del lancio del Falcon Heavy, il vettore della SpaceX di Elon Musk che, composto da tre Falcon 9, è il più performante dai tempi del Saturno delle missioni Apollo. Non è solo l’arrivo di un nuovo vettore molto efficace (porta fino a 64 ton.in orbita bassa) ma è anche il primo grande lanciatore costruito da un’azienda privata. Sia pure col coordinamento (e le commesse) delle agenzie spaziali, è in atto nel mondo ( e anche in Russia) una privatizzazione dello spazio, dai voli commerciali, alle grandi sfide tecnologiche. Può essere un enorme passo avanti, perché l’iniziativa privata può molto aiutare nella conquista dello spazio. Comunque sappiamo da dove siamo partiti, ma anche quale grande salto tecnologico (e morale) dobbiamo ancora fare se vogliamo costruire una civiltà spaziale. Data l’intrinseca limitazione dei lanciatori chimici, logico che si guardi anche altrove, per determinare un progresso di portata paragonabile a quello segnato dal passaggio dai velieri alla navi a vapore, provando da tempo con altre fonti di energia.
Il Progetto Orion è stato il primo progetto di veicolo a propulsione nucleare, portato avanti tra il 1950 e il 1963 dalla General Atomics con il sostegno della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency). Il veicolo spaziale avrebbe dovuto essere costituito da un razzo con un’apertura per il rilascio esterno di piccole bombe a fissione. Le onde d’urto create in successione dalle esplosioni avrebbero fornito la spinta. Per i progettisti, sarebbe stato così possibile raggiungere Marte in un mese e Saturno in sette mesi. ll progetto fu cancellato per il trattato che bandì gli esperimenti nucleari in atmosfera. lI Progetto Dedalo fu condotto, fra il 1973 e il 1978, dalla British Interplanetary Society per realizzare un’astronave interstellare senza equipaggio e prevedeva l’uso della fusione nucleare, non della fissione. L’energia era fornita da composti di deuterio ed elio 3, azionati in successione in una camera di reazione da fasci di elettroni; l’energia provocata dalle esplosioni sarebbe stata confinata da campi magnetici e canalizzata sul retro dell’astronave, per provocare la spinta del veicolo. L’astronave, velocissima, costruita in orbita, per evitare rischi radioattivi, avrebbe raggiunto, per i progettisti, un decimo della velocità della luce, sicché un viaggio verso la Stella di Barnard, distante 5,9 anni luce, sarebbe durato circa 60 anni. Come fattibilità, la realizzazione di una fusione a confinamento inerziale per un Dedalo è però considerata molto al di sopra anche della tecnologia attuale. Il Progetto Longshot è uno studio degli anni ottanta dalla NASA con l’U.S. Naval Academy, come variante del Dedalo e, poiché il sistema di fusione a confinamento inerziale non potrebbe alimentare in modo efficace i motori e i sistemi dell’astronave, si userebbe un reattore convenzionale il cui peso ridurrebbe la spinta e la velocità e potrebbe raggiungere solo la metà di quella del Dedalo. Con il Progetto Longshot un viaggio per Alpha Centauri, stella più vicina, durerebbe 100 anni. il Progetto VISTA (Vehicle Interplanetary Space Transport Applications.) era una versione ridotta del Dedalo destinata ai pianeti del sistema solare. L’astronave aveva forma di cono rovesciato, nella cui punta posteriore sarebbero stati la camera di combustione contenente deuterio e trizio e un sistema di specchi per riflettere raggi laser innescanti mini-esplosioni per spingere l’astronave, che avrebbe raggiunto Marte in 60 giorni. Negli anni novanta lo studio ACMF, Antimatter Catalyzed Micro Fission/Fusion della Pennsylvania Un., sviluppò l’idea di usare antimateria per innescare reazioni di fissione nucleare inferiore alla massa critica; reazioni che avrebbero innescato processi di fusione, per fornire energia alla propulsione. Come nel Dedalo, la spinta verrebbe fornita da mini esplosioni ottenute da fusione nucleare, ma con diversa modalità di generarle. Nell’ACMF, il combustibile nucleare sarebbe dato da sfere di deuterio e trizio mescolate con uranio. L’uranio, bombardato da antiprotoni, reagenti coi suoi protoni dando annichilazione, provocherebbe la reazione nucleare a catena della fissione, innescando poi le reazioni di fusione del deuterio e del trizio. Anche un piccolo numero di antiprotoni può innescare la reazione nucleare, per cui basta meno uranio della massa critica, chiesta dalla fissione convenzionale. Nello studio una missione per Marte richiederebbe 150 nanogrammi di antimateria, quantità bassa, ma costosissima.. Progetto Mag Orion negli anni novanta il Progetto fu ripreso e modernizzato dalla Andrews Space col nome di Magnetic Orion,. Nella parte posteriore dell’astronave verrebbe generato un campo magnetico da anello superconduttore e le cariche nucleari sarebbero esplose ad una distanza di 2 km dall’astronave, generando un plasma che interagendo col campo magnetico spingerebbe in avanti l’astronave. L’astronave, da costruire in orbita attorno alla Terra, fu abbandonata a causa di enormi problemi tecnici. Nel 2000 il progetto Mag Orion, modificato in Mini Mag Orion, con le cariche nucleari sostituite da capsule di materiale fissile e al posto dell’anello bobine poste a formare un ugello magnetico, Progetto apparso (2003) sulla rivista Aerospace Engineering. Molto vicino a una realizzazione finale arrivò in realtà solo il NERVA (Nuclear Engine for Rocket Vehicle Application), programma della Commissione per l’energia atomica e della NASA gestito dallo Space Nuclear Propulsion Office (SNPO). Fu portato avanti a partire dal 1960 (presidenza Kennedy), fino alla costruzione dei primi prototipi, prima della cancellazione nel 1972. NERVA dimostrò che i motori di un razzo termico nucleare erano uno strumento possibile per l’esplorazione dello spazio, e alla fine del 1968 SNPO certificò che l’ultimo motore NERVA, lo NRX/XE, soddisfaceva i requisiti per una missione umana su Marte. I motori NERVA furono davvero costruiti e testati per quanto fu possibile e il motore fu ritenuto pronto per l’integrazione in una navicella spaziale, ma gran parte del programma spaziale americano fu annullato dall’amministrazione Nixon, prima che una spedizione con equipaggio su Marte, proposta da Von Braun, potesse aver luogo. Il razzo NERVA si basava sulla tecnologia dei reattori nucleari in seguito chiamati Kiwi ( perché, come l’uccello neozelandese, non volò mai) e la NASA prevedeva di usarlo come motore per lo stadio chiamato RIFT (Reactor-In-Flight-Test) da usarsi nei primi anni settanta. Lo sviluppo del NERVA sarebbe dovuto diventare il motore dello stadio finale del Saturno V, il quale sarebbe stato così reso in grado di lanciare carichi anche interplanetari. Il Marshall Space Flight Center della NASA era incaricato allo sviluppo dello stadio del razzo. Il programma ebbe numerosi problemi, fu costoso e non ottenne sostegno pubblico, a causa della polemica anti-nucleare e soprattutto della crisi politica degli Stati Uniti agli inizi degli anni 70. I test sui motori non fecero in tempo a produrre più del 40% della potenza teorica, anche se già così assai più potenti dei razzi chimici. Era una tecnologia intermedia (la reazione nucleare era utilizzata per riscaldare il propellente, come una caldaia nel motore a vapore), ma funzionava e invece abbiamo perso 50 anni nella corsa ai pianeti. Anni che non siamo così sicuri di avere a nostra disposizione. Il Nerva ha comunque dimostrato che si può, che un razzo nucleare può funzionare e soprattutto può, a parità di peso, spingere dal doppio a parecchie volte più di uno chimico e dunque portare molto più carico utile ed essere più veloce, il ché è dirimente per i lunghi viaggi interplanetari, dove il tempo è fondamentale per arrivare (e anche per ridurre l’esposizione degli astronauti ai raggi cosmici). La compattezza e la continuità della propulsione nucleare rende poi concepibile un viaggio senza tempi morti di attesa (per il ritorno) di una congiuntura astrale favorevole a utilizzare la gravità dei corpi celesti per ridurre la necessità di energia. La formidabile esattezza raggiuta dai sistemi di calcolo, che permettono di testare in un simulatore ( NTREES, Nuclear Thermal Rocket Element Environmental Simulator) tutte le fasi di costruzione, hanno riaperto il progetto di un razzo nucleare, del tipo più semplice, un razzo nucleare termico (NTR), sviluppo delle ultime serie del NERVA, ma comunque un razzo nucleare, con i grandi vantaggi su quelli chimici e la prospettiva, oltre a poter costituire gli stadi successivi dello SLS, di riaprire l’intero campo dei razzi nucleari per lo spazio più lontano. Nel Novembre del 2012 è stata progettata una Joint Venture con la Russia per un’impresa comune aperta a Francia, Gran Bretagna, Germania, Cina e Giappone. Si vedrà, comunque le due maggiori agenzie hanno ripreso gli studi e la realizzazione di prototipi. Il progetto Copernicus, se tutto andrà bene, potrebbe portare uomini su Marte in 100 giorni poco dopo gli anni trenta del duemila.
RAZZI VETTORI TRADIZIONALI E PROPULSIONE SPAZIALE FUTURA
( Potenza di spinta totale , peso totale , carico utile in orbita , sono dati in Tonnellate )
Lanciatore Nazione Anno Motore Spinta Peso Carico orb.terr. spaz.
V 2 Germania 1942 Ossigeno-Alcol 25 12 = =
A,A1 Russia 1957 Ossig.Kerosene 408 265 0,08 =
(Sputnik,Gagarin)
Jupiter C USA 1958 Tre stadi,1 solido 35 35 0.02 =
(fasce Van Allen) Oss.liquid-alcol
AtlasCentaur USA 1966 Atlas+stadioCentaur 230 147 5,1 0.6
( SorvoloMarte,Giove) Oss.e Idrog. liquidi
D1 Proton Russia 1968 4 stadi.Tetrossido 1950 990 18 5
(Salyut 1-7 ) Azoto+dimetilidrazina
Saturno 5 USA 1969 Tre stadi+Navicella 4017 2812 137 47
(conquista della Luna) Idrogeno Oss.liquidi
Shuttle USA 1981 Navetta recuperabile 3000 2000 (69 shutt + 30 carico)
(Stazione Spaziale) booster+serb.Oss.Idrog.
Ariane 5+ Europa 2001 Tristadio Oss.Idrog. 1000 552 18 3.5
(telecomunicazioni) con 2 o 4 Booster
SLS USA 2020 Tristadio + Booster 5000 400 120
(volo su Marte) ————————————————————-
Post Nerva USA 2040? Motore Nucleare con da tre a dodici volte un SLS
(viaggi interplanetari) nucleo solido o gassoso e riutilizzabile ?
Fusione USA? 2100? Fusione Nucleare Viaggi “generazionali” stellari ?
Annichilazione 2150? Materia-Antimateria Viaggi generazionali galattici ?
Fonti : W. Von Braun & Ordway, Space Travel, 1985 , Verso lo Spazio , Mondadori 1985.
Rockets Space , Harward Un. pr. 1990. Voyage milky Way, Goldsmith 1999, NASA 2016
I SATELLITI ARTIFICIALI
I satelliti artificiali in orbita sono oltre 14.000 (compresi quelli ormai spenti). Il primo lo lanciò l’Unione Sovietica nel 1957, Lo Sputnik1, il 4 di ottobre. Nel 1964 fu invece spedito nello spazio il primo satellite in orbita geostazionaria, per la trasmissione tv delle Olimpiadi di Tokyo. Il lancio di nuovi satelliti ha raggiunto la quota di 200 all’anno. I satelliti artificiali che orbitano intorno alla Terra sono essenzialmente di due tipi. I geostazionari orbitano sullo stesso piano equatoriale della Terra e in sincronia con la rotazione terrestre (un’orbita in 24 ore). Hanno insomma sotto di sé sempre lo stesso punto della Terra, sono collocati a circa 36000 km dal globo e con orbita circolare. Questi satelliti danno servizi, come trasmissioni TV, osservazioni e previsioni meteorologiche.. Per zone molto estese e lontane si usano più satelliti, a longitudini diverse. Per osservare l’intero pianeta bastano tre satelliti distanti 120 gradi tra loro. L’osservazione dall’alto é strategica e, per i paesi più forti, i satelliti commerciali e scientifici sono affiancati da quelli militari e da quelli spia. I polari. La loro orbita è ellittica e il piano dell’orbita è inclinato rispetto a quello equatoriale, Il punto di massima vicinanza è detto apogeo (800-900 km), quello più lontano perigeo. La velocità varia in funzione della distanza dalla Terra ed è molto elevata per compensare per forza centrifuga l’attrazione terrestre. A basse distanze sono possibili scansioni dettagliate su tutto il globo, per effetto dei passaggi che interessano punti diversi della Terra. I servizi meteo utilizzano questi satelliti, come l’agricoltura, le ricerche minerarie e scientifiche. Le organizzazioni militari e di Intelligence delle grandi potenze si avvalgono di reti di satelliti polari e i sensori dei satelliti sono classificati in funzione della porzione di banda elettromagnetica a cui sono sensibili. Vedono al buio e attraverso le nuvole, vedono il calore, l’umidità e la densità. La realizzazione e la messa in orbita di un satellite, in passato riservata alle organizzazioni statali delle grandi potenze, oggi è anche un’attività commerciale a pagamento. Comunque, nell’odierno scenario, continuano ad essere fondamentali le finalità strategiche dei paesi più ricchi e più forti per determinare l’entità degli investimenti spaziali. I satelliti osservatori e spia, Global Posiitioning System (GPS). E’ un sistema di satelliti polari, decine di satelliti in orbite diverse, che circondano la Terra e permettono, a chi possiede un apparecchio ricevente, di conoscere la propria posizione (con pochi metri di errore) rispetto alla Terra, longitudine, latitudine, altitudine. Il sistema funziona a due livelli: uno ad altissima precisione per uso militare, l’altro, per –concessione militare- per uso civile e privato, anche automobilistico. Ogni soldato in una landa sperduta equipaggiato di un ricevitore GPS militare può conoscere a ogni istante la propria posizione e pianificare un percorso. Un navigatore solitario in mezzo all’oceano o un esploratore nel centro di una foresta, possono fare il punto sulle carte. Anche un missile da crociera, col suo computer di bordo, può pianificare il suo tragitto verso l’obiettivo utilizzando il GPS, con una accuratezza estrema. L’equivalente Russo è il GLONASS.
LE PRIME AGENZIE SPAZIALI MONDIALI
La Stazione Spaziale Internazionale
L’International Space Station, progetto di cinque agenzie, la NASA, la russa RKA, l’europea ESA, la giapponese JAXA e la canadese CSA, é in orbita terrestre bassa compresa tra i 330 km e i 435 km di altitudine e viaggia a velocità media di 27600 km/h, completando 15,5 orbite al giorno. È abitata dal novembre 2000 e l’equipaggio, con molte sostituzioni, va da due a sei astronauti. Erede della stazione americana Freedom (presidenza Reagan) e costruita dal 1998, è ormai in piena funzione. Costo totale, stima ESA, 100 miliardi di euro in 30 anni. Obiettivo : sviluppare tecnologie per l’esplorazione spaziale, la vita oltre l’orbita terrestre in voli di lunga durata ed essere laboratorio di ricerca in ambiente di microgravità, in biologia, fisica, chimica, medicina, astronomia e meteorologia. La struttura della stazione, con i suoi oltre cento metri di intelaiatura, copre un’area maggiore di ogni precedente, tanto da renderla visibile dalla Terra ed é servita da navicelle Sojuz, Progress, Dragon e dal H-II Transfer Vehicle, è stata visitata da astronauti provenienti da 15 paesi ed è aperta all’utilizzo da parte di altre agenzie e del settore privato. La ricerca aumenta le conoscenze sul corpo umano in lunga permanenza nello spazio ed assenza di peso. con studi sull’atrofia muscolare, la perdita di tessuto osseo, le dinamiche dei fluidi, il rallentamento del sistema cardiovascolare e i disturbi d’equilibrio e sistema immunitario. Effetti che scompaiono al ritorno a terra. Senza protezione dell’atmosfera, gli astronauti sono più esposti alla radiazione cosmica e ne ricevono ogni giorno, circa la quantità che riceviamo in Terra in un anno. (5 volte superiore a quelle dei passeggeri degli aerei, in un volo assai più corto). I dati servono per stimare l’avanzamento tecnologico necessario per voli di lunga durata e colonizzazione del sistema solare. Si sta studiando anche l’effetto di assenza di peso su evoluzione, sviluppo e processi interni di piante e animali. La NASA si propone di indagare la microgravità sulla sintetizzazione e crescita di cristalli, tessuti umani e proteine, che possano essere prodotti nello spazio. Nel campo della fisica, l’Alpha Magnetic Spectrometer, erede di Astromag (a cui lavoravo) , è un rivelatore progettato per la ricerca di particelle e di antimateria, tramite misure dei raggi cosmici. L’assemblaggio della Stazione è uno sforzo di architettura spaziale. Dal 1998 al 2011, ci sono state 159 uscite spaziali, 127 dalla stazione, 32 da navette ancorate, per fare sedici moduli pressurizzati (tra laboratori, moduli e spazi abitativi) per un volume di circa 1000 m³. La ISS presenta anche componenti esterni, come l’Integrated Truss Structure americano, dove sono montati pannelli solari e radiatori, costituito da dieci segmenti che formano una struttura di 108,5 m., base per un braccio robotico in grado di muoversi su binari e raggiungere tutte le parti. Vi sono pure strutture con altri sistemi di manipolazione, oltre a due gru russe per la movimentazione di astronauti e materiale. L’alimentazione è data da coppie di pannelli fotovoltaici convertitori di radiazione solare in elettricità, con tensioni tra 130 e 180 volt. Ogni coppia é di 73 metri con superficie di 890 m². Con quattro coppie, la stazione ha una potenza di 260 kW. L’atmosfera, simile alla terrestre, é di azoto e ossigeno a pressione del livello del mare. Per compensare le perdite di quota, la stazione utilizza i motori del modulo di servizio tramite navetta di rifornimento Progress, in futuro si userà un motore al plasma VASIMR, per un migliore mantenimento. La stazione è dotata di 100 computer portatili configurati per sicurezza e funzionamento in assenza di peso. Via radio il trasferimento dati telemetrici e scientifici tra stazione e controllo a terra, le procedure di aggancio, le trasmissioni del controllo di volo e dei familiari. Nelle ore notturne, le finestre sono chiuse per fare oscurità, poiché nella stazione il sole sorge per 16 volte in 24 h. L’equipaggio lavora dieci ore (cinque il sabato) il resto del tempo è per riposo o impegni. Un astronauta fa due ore di esercizi fisici, si lava con getto d’acqua e salviette umidificate. Cibo congelato o in scatola. (il gusto è ridotto in orbita e il piccante è preferito) ogni membro ha i suoi alimenti e li cuoce in cucina, le bevande sono disidratate e mescolate con acqua. Vi sono alloggi per ogni astronauta, cabine personali, dove dormire, fare musica, leggere, usare un computer e tenere oggetti personali. La Stazione ha avuto centinaia di visitatori, al novembre 2014 già 100 navette russe (Sojuz e Progress), 37 space shuttle, 5 ATV, 5 HTV, 4 Dragon e 3 Cygnus. I voli Sojuz per rotazione di equipaggi e quelli di rifornimento Progress visitano la stazione, rispettivamente, due e tre volte l’anno. La costante presenza nello spazio aiuterà a migliorare i sistemi di supporto vitale e ambientale, la prevenzione delle malattie e la produzione di materiali, fornendo così conoscenze indispensabili alla colonizzazione dello spazio. Stazioni spaziali potrebbero avere il ruolo futuro di confinamento delle armi di distruzione di massa (al contrario della politica attuale) per il valido motivo che la distanza renderebbe meno totalmente irreparabile una catastrofe “per errore”. Comunque la stazione sarà il prototipo di altre basi orbitanti future, anche se sarà da basi su pianeti che verrà lo sviluppo maggiore, perché potranno permettere il cosiddetto “Terraforming” .
LO SPAZIO VICINO A NOI. LA GRANDE AVVENTURA
E’ lo Spazio più vicino a noi. Marte, Venere e la Luna, assieme alla Terra, sono un piccolo insieme ravvicinato, perso nell’enorme Universo in cui siamo inseriti. E in questo piccolo insieme dovrà avvenire, di necessità, l’inizio dell’avventura umana al di fuori della Terra. Per capire perché parliamo di necessità, ricordiamo ancora cosa abbiamo fatto in passato. L’uomo si è sempre rifiutato di cedere alle avversità, di vedere morire i suoi figli di fame e di freddo. Si è coperto di pellicce e ha scoperto come coltivare la terra. Più avanti nella civilizzazione, ha scoperto come combattere le malattie, diminuire la fatica, migliorare i rapporti sociali e ha inventato la medicina, le macchine e la democrazia. Non è stato un processo lineare, abbiamo avuto avanzate e ripiegamenti, vittorie e sconfitte, ma siamo progrediti, rifiutando di cedere alle avversità, di farcene condizionare fino a perderci. E’ oggi che siamo di fronte alla più nuova e grande delle sfide, quella dei limiti finiti del nostro pianeta, cosa dovremmo fare, accettarli ? E accettarne i condizionamenti, il numero di figli stabilito per legge, le professioni decise dall’alto, la stretta regolamentazione di tutto, dai comportamenti standardizzati, fino all’appiattimento del gusto e al sottosviluppo pianificato ? Questo, si potrebbe ipotizzare, sarebbe per preservare la pace, ma è più probabile il contrario, molto più probabile. Quella crisi di follia, che sola può scatenare un conflitto in epoca di armi di distruzione di massa, sarebbe molto più facilmente innescata da una situazione claustrofobica, dalla rarefazione di territori e risorse e dalla competizione esasperata in uno spazio ristretto, come in prigione, dove nessuno è libero e la violenza è la regola, dove la vita è meno bella e si può arrivare a credere che costi di meno il perderla. Chi crede di barattare la Libertà con la pace, perderà la Libertà e poi anche la pace. Il risparmio di risorse, il contenimento della crescita, l’autoregolamentazione, hanno un senso se ci daranno il tempo di preparare la nuova impresa, altrimenti saranno solo un placebo pericoloso, perché ci illuderanno di aver risolto i problemi senza farlo e anzi, esasperando le tensioni, aggravandoli. La “crescita zero” del Club di Roma, non è un opzione. Lo ripetiamo, tutto in Natura, dalle piante alle rocce, dagli animali alle nazioni, dalle religioni alle teorie politiche, dalle stelle agli ammassi galattici, dai singoli individui alle specie, cresce e si sviluppa e quando smette di crescere, decresce e muore. In Natura la crescita zero semplicemente non esiste. A colonizzare andranno i pionieri, coloro che lo sono sempre stati, esploratori, militari, scienziati, avventurosi e avventurieri e infine, in un tempo non troppo lungo, tutti gli altri, quelli come noi. La Terra sarà un’immensa città con grandi parchi e lo spazio vicino la sua campagna, dura, ma non ostile, abitabile.
In termini generali il processo di antropizzazione di pianeti ostili si chiama “Terraforming”, parola di facile comprensione, che significa rendere un altro pianeta più simile possibile alla Terra per renderlo maggiormente abitabile. Accanto ai primi nuclei racchiusi in cupole ossigenate e più simili a laboratori caserma che ad abitazioni, si dovrà contemporaneamente procedere ad una profonda modificazione del pianeta con una vera e propria “rivoluzione vegetale” di specie super selezionate e geneticamente modificate (a partire da quelle della tundra Artica o dei deserti, secondo le caratteristiche di temperatura del pianeta da colonizzare) capaci di attecchire e resistere producendo nel tempo un atmosfera con ossigeno nelle proibitive condizioni iniziali.
LA COLONIZZAZIONE : IL TERRAFORMING
Il Terraforming è il processo tendente a rendere abitabile per l’uomo un pianeta o una luna, intervenendo su atmosfera e morfologia, composizione chimica e temperatura, per renderle più simili a quelle in Terra e in grado di sostenere la vita. L’aumento di popolazione, la necessità di risorse e la nostra aspirazione a garantire spazi di Libertà ci spingeranno a colonizzare nuovi ambienti, a cominciare dallo Spazio vicino, dai pianeti del sistema solare. Saranno basi scientifiche, miniere, ma anche e soprattutto luoghi di vita, probabilmente in un futuro non troppo lontano. La terraformazione ha dei limiti, il pianeta non deve essere troppo grande o piccolo, nel primo caso la gravità sarebbe troppa per la vita, nel secondo troppo debole per il corpo e per trattenere l’atmosfera che sfuggirebbe nello spazio. Il pianeta deve avere campo magnetico adeguato e schermare i raggi cosmici energetici (UV) pericolosi e deve essere non troppo lontano o vicino alla stella fonte di luce e calore. Oggi solo il Sistema Solare è ipotizzabile e il terraforming solo per Marte e per Venere, più simili alla Terra. MARTE è il più adatto e possibile da modificare, il suo giorno, di poco più di 24 ore, può facilitare la vegetazione, possiede tutti i materiali per costruire e ha molta acqua congelata. Marte inoltre era un tempo ospitale, con temperature più miti e acqua liquida in superficie, Poi l’atmosfera di CO2 e altri gas serra, si è assottigliata e oggi è un mondo freddo, con temperature medie come l’Antartide e una tenue atmosfera (1% della terrestre) che non proteggerebbe uomini o animali. Osservazioni di antiche reti di canali e fiumi e il Mars Exploration Rovers, mostrano sedimenti e alterazioni dovuti all’acqua, dunque nel primo mezzo miliardo di anni, Marte era un posto caldo e umido con una atmosfera spessa, sicché potrebbe essere reso di nuovo abitabile, L’inclinazione dei due pianeti è simile (25,19° contro i 23,44° della Terra) così su Marte ci sono stagioni, pur se durano quasi il doppio perché l’anno è di1,8 anni terrestri, ma oggi è inabitabile con atmosfera rarefatta quasi senza ossigeno. Nei quarant’anni passati dal Mariner 4, abbiamo studiato Marte con molte sonde e la temperatura superficiale varia tra -140°C ai poli e +27°C all’equatore, così per terraformare dovremmo liberare molto gas serra in atmosfera ed innalzare la temperatura. Questo causerebbe la liberazione di CO2 dalle calotte polari, aumentando l’effetto serra e sciogliendo le riserve di ghiaccio sulle calotte, che permetterebbero grandi distese di acqua liquida nelle stagioni estive e intermedie. Ciò porterebbe Marte ad avere mari, clima più simile al terrestre, atmosfera più densa e potremmo portare piante per trasformare la CO2 in ossigeno. I coloni di Marte potrebbero, senza depauperare lo strato di ozono, realizzare stabilimenti automatizzati per produrre super gas effetto serra, migliaia di volte più potenti, per catturare calore.
Robert Zubrin, l’ingegnere aerospaziale, coordinatore dei progetti NASA e Mars Society, pensa che funzionerebbe. “In poche decine di anni, la temperatura su Marte aumenterebbe di oltre 10°C. Il calore porterebbe alla fuoriuscita di grandi quantità di CO2 presenti nel suolo. La CO2, gas serra, innalzarebbe la temperatura, producendone a catena altre fuoruscite. Il processo diverrebbe automatico e, con l’ispessimento dell’atmosfera, il pianeta raggiungerebbe un equilibrio, rimanendo caldo e ridando a Marte l’acqua allo stato liquido che possedeva, che riempirebbe mari, fiumi, e darebbe nuvole per scendere come pioggia. Marte ritroverebbe un ambiente fecondo per la vita. Per la vita si inizierebbe con organismi semplici, geneticamente modificati per vivere in ambiente marziano e poi piante più complesse. L’atmosfera di anidride carbonica é un ambiente buono per le piante, che, prive di competizione, trasformerebbero Marte in un mondo verde. L’ultimo passo per la terraformazione di Marte, sarebbe la creazione d’aria respirabile da esseri animali e lo farebbero le piante, attraverso la fotosintesi, ma mentre per scaldarla bastano decine di anni, la trasformazione dell’atmosfera per mezzo delle piante ne richiede molti di più. Naturalmente, è possibile che in futuro si trovino sistemi più efficaci. Dice Zubrin: “Non credo che Marte sarà terraformato solo in questo modo. Stiamo tentando di risolvere con una mente del XX secolo un problema del XXII secolo.” Rendere Marte abitabile sarà impresa ardua, per la difficoltà di fare ossigeno, ma renderlo di nuovo ospitale per la vita sarà fondamentale ed é logico vi sia attesa per la sua colonizzazione. Comunque si comincerà a terraformare per le piante, come fu in Terra, popolata all’inizio da batteri anaerobi, fino a quando i cianobatteri, iniziarono ad estrarre ossigeno dall’acqua e ad immetterlo in atmosfera. LA NASA entro il 2030 pensa di inviare una missione su Marte, portando uomini sulla sua superficie e sta sviluppando i progetti per le astronavi, come la capsula Orion, per viaggiare al di fuori dell’orbita terrestre e un nuovo tipo di razzo, lo Space Launch System, ancora chimico, ma il più potente mai costruito, che permetterà di portare Orion nello spazio, cominciando con apparati robotici. Questi piani prevedono un piccolo insediamento di fondatori, per iniziare a trasformare l’ambiente di Marte e renderlo adatto alla vita. La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), agenzia pubblica USA di ricerca tecnologica, sta iniziando a progettare un processo di terraformazione di Marte. Da tempo, DARPA è coinvolta in un immane lavoro di catalogazione genetica di batteri terrestri, con lo scopo di selezionare i migliori candidati per la creazione di microorganismi che non solo possano vivere nell’ambiente ostile di Marte, ma che lo trasformino in un pianeta nuovamente abitabile. Alicia Jackson, vice direttore del DARPA, ha dichiarato (Astrobiology Science Conference, 2004. The Mars Terraforming Debate) «Per la prima volta abbiamo la tecnologia necessaria per trasformare ambienti ostili, il che ci permetterà di andare nello spazio, non per visitare, ma per rimanere». DARPA sta studiando la creazione di nuovi organismi per terraformare Marte, utilizzando la biologia cellulare per sviluppare batteri capaci di modificare gli ambienti per le esigenze umane e, dato che sulla Terra esistono dai 30 ai 30.000 milioni di organismi, si possono utilizzare quelli che hanno le giuste proprietà. Per questo è necessario mappare il loro genoma rapidamente e, catalogati i dati degli organismi conosciuti, il software potrà aiutare i bioingegneri nella selezione dei migliori geni provenienti da varie forme di vita e di modificarli per creare qualcosa di nuovo. Microrganismi da utilizzare in ambienti inospitali, per moltiplicarsi rapidamente e in modo esponenziale, così da modificare la natura di Marte. Potrebbero prosperare su Marte estesi ambienti vegetali, per la creazione di ossigeno e di un’atmosfera simile a quella terrestre, ma abbiamo bisogno di nuove tecnologie, per fare ciò in decine di anni e non in centinaia.
Terraformare Marte con le piante ed arrivare a creare atmosfera con azoto e ossigeno, con gli uomini all’inizio in città con atmosfera artificiale. Alcuni organismi fotosintetici, i cianobatteri, sono in grado di farlo, ma con adattamenti potrebbero farlo in tempi più rapidi, per poi far crescere alghe e piante, su suolo fertile. Per scaldare Marte serviranno alcune decine di anni, ma non si sa quanto serva per l’aria respirabile. Poi Marte non ha, come ha la Terra, magnetosfera ed è così privo di difese dal vento solare, problema vero, ma forse non insormontabile. Marte è un obiettivo non solo Nasa, ma anche di gruppi privati come Mars One, che progetta basi sul pianeta. con Elon Musk che sogna una colonia di 80.000 persone. Per i primi coloni sarà dura, come in un deserto con temperature polari e pressione da 34 km di quota, ma meglio é la Valles Marineris, crepa lunga 3 mila km e profonda 8, con pressione più alta e condizioni meno ostili. La Nasa diramò un’immagine di come doveva essere Marte con oceani su un quinto della superficie, atmosfera e un habitat che forse ospitava forme di vita. Marte sembra avere gli ingredienti per la vita e coi super gas serra, fatti in loco, con alto potenziale riscaldante e lunga vita (1000 anni) scelti per non distruggere il futuro strato di ozono, cominceremo a terraformare, con la colonizzazione, gli incentivi e la capacità industriale. Se cambiare il clima della Terra è negativo perché ha un sistema ecologico altamente evoluto per la vita, su Marte tale ecosistema non c’è e va così ricreato, agendo in senso opposto. Venere e Luna. Venere ha il vantaggio di avere massa e dunque gravità, simile a quella terrestre, ma l’enorme svantaggio di essere caldissima e le nostre tecnologie ci permettono più facilmente di riscaldare che non di raffreddare ed è più vicina al Sole. Ha un’atmosfera di anidride carbonica con una pressione 90 volte maggiore di quella terrestre, una temperatura di circa 480 °C ed è quasi del tutto privo di acqua e vapore acqueo. Terraformare Venere usando alghe geneticamente modificate che consumino l’anidride carbonica con la fotosintesi è stato proposto nel 1961 da Carl Sagan, ma negli anni seguenti si è compreso che il metodo non sarebbe stato efficace: Venere è pressoché privo di acqua e inoltre ha una rotazione assiale molto lenta, equivalente a 8 mesi terrestri: in altre parole, su Venere giorno e notte durano ognuno circa 120 giorni terrestri. Il Terraforming di Venere è più difficile e lontano nel tempo di quello di Marte, pure le sue dimensioni di poco inferiori a quelle della Terra e la sua vicinanza ne fanno il canditato successivo. La Luna (e forse alcuni altri satelliti, anche come depositi) potrà solo essere un’utilissima base (la partenza dalla Luna richiede molto poca energia) un luogo di costruzioni e, se sfruttabili, di miniere robotiche, ma inadatta ad un Terraforming finalizzato alla vita stanziale. Troppo piccola e troppo poca gravità. Il sogno di procedere a colonizzare il resto del sistema solare e soprattutto oltre, nello Spazio infinito, sarà solo per i nostri discendenti, ma dipenderà anche da noi, se potranno progettarlo.
IL NOSTRO FUTURO
“Siamo al confine di una Nuova Frontiera, la frontiera delle speranze incompiute e dei sogni. Al di là di questa frontiera ci sono le zone inesplorate della scienza e dello spazio ” Scriveva John F.Kennedy. “Noi esseri umani siamo in una posizione unica per contribuire a diffondere la vita, partendo da questo piccolo pianeta, dove sembra sia originata. Credo che questo possa essere il dono della Terra all’Universo, il dono della vita.” Così Christopher McKay, planetologo della NASA. “Oggi ci troviamo a un bivio: o raccogliamo il coraggio per partire, o rischiamo la possibilità di stagnazione e decadenza”. dice Robert Zubrin. E di perdere la nostra Libertà e anche la pace, aggiungiamo noi. Ma non lo faremo, perché l’avventura umana continuerà. Sempre. E forse un giorno un ragazzo e una ragazza, tenendosi per mano e guardando il cielo, vedranno brillare lassù anche la nostra vecchia Terra.
