“Adoro i concerti d’estate, specie quelli all’aria aperta, e ieri sono andata a sentire una vecchia gloria del rock che si esibiva a Roma. Una sera dolce con un venticello frizzante, un grande giardino circondato da tigli e io che respiravo felice a pieni polmoni.  Poi all’improvviso, come una tempesta di sabbia dal deserto, un odore di montoni andati a male, di carne di cammello usata, di pidocchio di cane sottovuoto e gente con cilindri di carta argentata in mano… il kebab! Ma io dico, in una terra dove il rumore della crosta della porchetta di Ariccia è musica popolare, dove il bucatino all’amatriciana è oggetto di antiche dispute (si fa con la cipolla, non si fa con la cipolla) dove la gricia è famosa come il Colosseo, bèh, che si va a mangiare, una cosa unta di carne non meglio identificata, spruzzata di spezie. E mentre io mi sentivo Laurence d’Arabia che osserva l’esercito turco,  avvilita pensavo a come la globalizzazione ci ha tolto ogni magia, a come sono diventate abitudini comuni  oggetti e comportamenti di terre lontane. Seduta sulla mia poltroncina, circondata da giovani e diversamente giovani che addentavano quella roba, mi sono consolata con un sacchetto di mou, caramelle antiche e fuori moda , mi sono sentita una vecchia e romantica signora e ho osservato con calma i normotipi che mi circondavano e ho concluso che se lo meritavano il kebab. Io sono fiera di essere porchetta dipendente – come si dice nella lingua globale – … proud to be porchetta addicted.”

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2 COMMENTI

  1. davvero fatico a capire il senso di questo articolo che mi sembra pregno di luoghi comuni e anche di malcelata xenofobia. Premetto che anche io preferisco la cucina italiana al kebab, ma che a volte, comunque, mangio con piacere anche specialità “esotiche”; ma se tutti avessero ragionato così, allora gli americani non avrebbero cominciato a mangiare la pizza o gli spaghetti, perché “importati” dai “sudici italiani”.

    Mi pare che questo articolo sia quanto di più illiberale si potesse scrivere sulle tradizioni culinarie diverse dalle nostre.

  2. Caro signor Giuseppe, adoro quello che ha scritto. Lei, con le sue parole diversamente democratiche, mi dà l’opportunità di sottolineare quanto sia liberale la liberalità di scrivere ciò che voglio su questo giornale, parole in libertà senza censure e di rispondere a lei senza censure. Noi siamo aperti e rispettiamo qualsiasi punto di vista, non censuriamo mai e diamo all’auspicabile intelligenza di ciascuno la possibilità di cogliere gli aspetti che più sono loro compatibili.
    Ora, per rispettare le mie tradizioni culinarie, mi vado a mangiare un bucatino all’amatriciana di chiare origini razziste. Non è roba da musulmani, loro non mangiano maiale.

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