L’Unione Europea, dopo la troppo frettolosa ammissione di molti Paesi dell’Est, che aspiravano principalmente a ricevere aiuti economici per il loro rilancio dopo la lunga stagione sovietica, aveva perso lo slancio della iniziale fase fondatrice ed era sprofondata progressivamente nelle maglie della burocrazia di Bruxselles. L’invasione dell’Ucraina sembrò risvegliare lo spirito europeo, tanto che, insieme alla comune esecrazione  della guerra portata da Putin, si cominciò a parlare della necessità di affrettare i tempi per organizzare una efficace difesa  comune ed accelerare il processo di Unione federale. Quasi tutti i Paesi si dichiararono disposti ad accogliere gl’immigrati ucraini e ad inviare armi. In particolare le Nazioni vicine al confine russo, come la Polonia ed i Paesi Baltici mostrarono la loro preoccupazione e Finlandia e Svezia chiesero di aderire alla Nato, mentre l’Ucraina fece formale richiesta di entrare nell’Unione. Sembrava un ottimo segnale, anche perché finiva col rompere, come in effetti ha rotto, il patto di Viségrad, che aveva determinato parecchi fastidi, isolando l’Ungheria di Orban, rivelatosi sostanzialmente filoputiniano.

Gli iniziali insuccessi dell’esercito invasore avevano creato un clima positivo, che tuttavia si è progressivamente andato modificando dopo che l’esercito russo si è concentrato nell’area del Donbass, distruggendo intere città, facendo stragi di civili e recuperando, sia pure lentamente terreno sul campo. Comprese le fin troppe incertezze della Germania, si sono via via  palesate contraddizioni e forme di codardia, che hanno rallentato gli aiuti militari agli ucraini e diffuso progressivamente una opinione pacifista, che invoca continuamente iniziative diplomatiche, alle quali il dittatore sovietico rimane insensibile. Lentamente nel popolo ucraino sta crescendo un preoccupante senso di abbandono e la lentezza per l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni, invero dal contenuto modestissimo, ne costituisce la prova. Orban, utilizzando fino al limite della provocazione, la regola della decisione unanime dei ventisette Paesi membri, oltre ad aver ottenuto per l’Ungheria delle inaccettabili eccezioni, ha imposto l’esclusione dalle sanzioni del patrimonio che fa capo al primo alleato di Putin, che è il capo della chiesa ortodossa di Mosca e suo ex collega del KGB, Kirill. La conseguenza peggiore è che in tutta l’Europa si sta attenuando la tensione iniziale in favore della libertà violata di uno Stato democratico ed indipendente, mentre prevalgono opportunismo, paura, vecchio rancore antiamericano, nostalgie veterocomuniste e pacifismo peloso, come quello che si registra nel mondo cattolico italiano. Tale clima ha finito col riservare grandi spazi nella televisione pubblica, di cui siamo obbligati a pagare il canone, a giornalisti russi impiegati del dittatore, pseudo intellettuali e sedicenti studiosi o sindacalisti di estrema sinistra, fino ad essere ormai una presenza maggioritaria e fastidiosa, Tale indirizzo editoriale inoltre è rafforzato da sondaggi, non si sa quanto autentici, ma certo fondati sulla vigliaccheria, che indicano una maggioranza del popolo italiano favorevole ad una pace ad ogni costo, quindi alla resa del popolo ucraino. Negli ultimi giorni si è invocata infatti una iniziativa diplomatica di Erdogan, un dittatore peggiore del compagno di merende Putin. L’opinione democratica ne è uscita sopraffatta. Fortunatamente il Presidente del Consiglio Mario Draghi mantiene un profilo alto e, pur con qualche distinguo doveroso rispetto ad alcune posizioni americane poco condivisibili, difende ad oltranza, anche di fronte alle inaccettabili incertezze del modesto Cancelliere Tedesco, la posizione iniziale di sostegno al popolo aggredito e l’invio di armi, come pattuito, assumendo così anche un profilo alto nel consesso europeo e nell’ambito della Nato, accrescendo così per una volta il prestigio dell’Italia.

Le vicende di questi giorni e le grandi preoccupazioni che esse suscitano, non soltanto impongono una rapida accelerazione del processo di rafforzamento dell’Unione Europea, attraverso una Costituzione anche di pochi articoli che ne delinei in maniera chiara il profilo di “Stati Uniti di Europa”, ma principalmente che stabilisca il superamento anacronistico del voto all’unanimità, che impone mediazioni infinite ed, alla fine, la necessità di sottostare al ricatto di un personaggio di scarsa credibilità democratica come Orban, che rappresenta un Paese di poco meno di dieci milioni di abitanti sugli oltre trecentomila dell’intera Europa. Dopo anni di oblio e di necessaria subordinazione alla direzione americana della NATO, la creazione di un vero Stato europeo, con un proprio esercito, una propria polizia di frontiera, stringenti regole di politica economica comune ed un’unica voce in politica estera, quella che stiamo attraversando, sia pure sorta da una drammatica necessità, potrebbe diventare un’occasione per riportare l’Europa col suo Mediterraneo al rango che le compete nel contesto mondiale. Se tale processo venisse accelerato nei prossimi mesi, l’Italia potrebbe offrire, attraverso il nome di Mario Draghi, anche la personalità di esperienza e statura adatta alla guida Vecchio Continente, fattosi Stato federale.

Stefano de Luca

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