Situata al crocevia tra India, Cina, Bangladesh, Tahilandia e Laos, la Birmania possiede il maggior numero di etnie al mondo. 135 gruppi sono stati ufficialmente recensiti dal governo. Si stima che le minoranze etniche (sono “minoranze” tutti i gruppi che popolano la Birmania tranne i bamar, etnia maggioritaria, l’unica ad avere qualche “diritto”) rappresentino un terzo dei 52 milioni di abitanti del Paese. Oltre ai Bamar, Shan, Karen, Mon, Chin, Arkan che costituiscono le minoranze più importanti, si aggiungono cinesi e indiani arrivati con le recenti immigrazioni. Se molti di loro sono buddisti, alcuni sono musulmani – soprattutto i Rohingya che abitano alla frontiera con il Bangladesh e che costituiscono una spina nel fianco nei rapporti diplomatici tra Bangladesh e Birmania – mentre altri si sono convertiti al cristianesimo durante la colonizzazione britannica (1886-1947).

Da quando Aung San, leader del movimento indipendentista, fondatore dell’Esercito per l’indipendenza birmana e simbolo del Paese (“costringe” gli inglesi a concedere ufficialmente l’indipendenza) verrà assassinato nel maggio del ‘47, la Birmania si vedrà governata da una giunta militare dietro l’altra. Il regime porterà avanti una serie di guerre contro i Karens e gli Shan – i due gruppi etnici più forti – contro i comunisti, e più tardi contro i baroni della droga, ottenendo però solo grandi spargimenti di sangue. Nel 1988 Aung San Suu Kyi, figlia di Ung San, riesce a tornare dall’esilio e fonda la Lega Nazionale per la Democrazia. Lo SLORC (uno dei tanti nomi che si da il partito militare per illudere la gente: nome nuovo, nuova realtà…), risponde ribattezzando il Paese con il nome Myanmar, nome tradizionale della Birmania, che non verrà riconosciuto dai governi contrari al regime, tra i quali l’Italia, la Francia e gli USA (ma utilizzato dalle NU). Le elezioni lungamente promesse hanno luogo nel 1990, LND riporta una vittoria schiacciante, lo SLORC arriva ultimo e… si riprende il potere senza pensarci due volte, mettendo Suu Kyi agli arresti domiciliari. Il regime torna al comando più forte che mai, sostenuto economicamente dalla Cina, dalla Tahilandia e dai traffici di droga. Nell’estate del 2007 comincia una serie di manifestazioni capeggiate dai monaci buddisti, non ci sono cifre ufficiali, ma si stimano migliaia di esecuzioni arbitrarie.

Oggi la Birmania, malgrado i mille discorsi e le mille promesse, dopo la farsa delle elezioni del 2010 e la sedicente transizione verso un “governo civile”, è sempre sotto il giogo militare. Ricordiamo soltanto che la Costituzione stessa della Birmania è assolutamente anti-democratica: garantisce ai militari il 25% dei seggi nel così detto Parlamento “civile”, impedendo qualsiasi riforma costituzionale che necessita del 75% dei voti. Inoltre assicura l’immunità totale ai militari, non garantendo in alcun modo i diritti umani e nessun riconoscimento politico, culturale o linguistico alle minoranze. In questo contesto non si può che sorridere alle dichiarazioni del Presidente Thein Sein che auspica continuamente la formazione di un governo trasparente e responsabile in uno Stato di Diritto. A Maggio, 2028 prigionieri politici erano ancora detenuti in prigioni simili a gironi infernali, 17000 prigionieri sono stati liberati grazie ad una “ricca” amnistia, peccato però che quasi tutti avessero praticamente scontato interamente la loro pena, e nessuno di loro fosse “prigioniero politico”. Suu Kyi, liberata definitivamente (?) il 13 novembre scorso ha dichiarato che “non si sentirà libera fino a quando, nel suo Paese, altri saranno detenuti per le loro opinioni democratiche”. Le minoranze vengono sempre più spesso prese pesantemente di mira (bombardamenti, stupri, arresti, lavori forzati, tortura, esecuzioni arbitrarie), con il rischio di una guerra civile totale. Dopo 22 anni di cessate il fuoco, il regime birmano è venuto meno all’accordo con la Shan State Army, segnando in pochi giorni 65 scontri a fuoco (13 maggio 2011). Da qui si arriva ad un altro pesante problema: le mine. Queste sono un dramma nel dramma, nel 2009 si hanno avuto notizie di 2700 vittime, ma potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. La Birmania è l’unico regime al mondo che continua ad utilizzare regolarmente mine anti uomo. Tutti i gruppi armati, ufficiali e non, le utilizzano nei territori da “controllare”. In troppi si ritengono “fortunati” perché rimasti senza arti ma… in vita.

Ban Ki-moon ha esplicitamente chiesto al regime che con lo scioglimento del SPDC ( Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo, organo che i dittatori birmani hanno utilizzato dal 1997 per governare il Paese), il trasferimento del potere a un nuovo governo “civile”, non rimanga lettera morta, ma il segnale di un reale allontanamento da 50 anni di dittatura militare. Purtroppo le libertà, tutte le libertà, vengono continuamente calpestate, le violazioni dei diritti umani perpetrate quotidianamente, il diritto d’informazione negato. La comunità internazionale non può farsi prendere in giro da una ormai ben rodata politica di marketing pubblicitario. Oggi più che mai la Birmania ha bisogno della nostra attenzione.

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