La relazione annuale del Presidente dell’Antitrust, organo solitamente molto prudente e, se mai, lievemente “governativo”, rompe gli indugi: “il processo riformatore si è arrestato e le liberalizzazioni sono scivolate via dalle priorità dell’agenda politica. L’Autorità ha dovuto denunciare pericolosi tentativi di chiusura dei mercati dettati dagli interessi particolari in settori come le farmacie, le assicurazioni, alcune professioni, i trasporti”. Insomma, le famose liberalizzazioni, la leggendaria rivoluzione liberale del programma berlusconiano, che – come il titolo della nostra testata – evocava Piero Gobetti, non c’è stata. Non solo: negli ultimi anni le libertà di mercato hanno fatto concreti passi indietro dopo che, nei due decenni a cavallo del cambio di secolo, avevano bene o male conosciuto un significativo ampliamento.
Dove è avvenuto (si pensi alla telefonia o all’energia elettrica) questo ampliamento delle libertà di mercato ha determinato, come era lecito aspettarsi, da liberali e soprattutto da economisti, un miglioramento della qualità e/o una riduzione dei prezzi al consumo. Dove non è avvenuto, come ad esempio nelle assicurazioni e nei trasporti, il livello del servizio permane del tutto insoddisfacente – il termine è spesso un eufemismo – e i prezzi non diminuiscono o addirittura aumentano.
Nei trasporti, in particolare, la svolta antiliberale si è consolidata a livello normativo, e comincia a produrre i suoi effetti nefasti.
Ha del surreale, ad esempio, la disputa che vede di fronte in questi giorni le Ferrovie dello Stato, la Regione Liguria e l’impresa ferroviaria privata Arenaways.
Quest’ultima, coerentemente con le direttive europee sulla liberalizzazione ferroviaria, prende in affitto una “traccia oraria” (diritto di passaggio sulla rete) fra Torino e Livorno e offre un treno destinato soprattutto alla domanda turistica, un po’ come i voli charter, con fermate intermedie in Liguria: Genova, Cinque Terre, La Spezia. Sostiene Mauro Moretti (AD Ferrovie) che la legge italiana e il contratto di servizio fra Trenitalia e Regione (con cui la regione acquista il servizio ferroviario per conto dei cittadini) prevede che la Liguria non consenta sul proprio territorio altra offerta di treni passeggeri oltre a Trenitalia. Le fermate liguri di Arenaways violano questa condizione, per cui il treno dovrebbe sigillare le sue porte a Torino e saltare la Liguria, per impedire ai Genovesi di utilizzarlo per andare alle Cinque Terre. Sostiene Enrico Vesco (assessore ai trasporti della Regione Liguria, roccioso comunista che qui difende la liberalizzazione) ciò che anche il buon senso suggerisce: è una limitata offerta aggiuntiva, giustificata dai picchi della domanda turistica, e ha comunque il pregio di ampliare il servizio per la comunità che egli rappresenta – i cittadini liguri.
Il guaio è che purtroppo, stando alla legge ora vigente e al contratto, potrebbe aver “ragione” Moretti. La liberalizzazione ferroviaria europea è stata recepita dall’Italia in modo molto incompleto e, non bastasse, nel 2009 una nuova norma ha ulteriormente ingessato il monopolio FFSS, riducendo quasi a zero gli effettivi spazi di concorrenza, come si vede in questo caso. Inoltre i contratti di servizio con cui Trenitalia concorda il servizio ferroviario con le Regioni sembrano fare gli interessi di una parte sola, che forse redige anche materialmente il contratto.
Là dove la liberalizzazione darebbe un vantaggio immediato agli utenti liguri, l’ingessamento monopolista delle ferrovie di stato li danneggia. Moretti fa l’interesse di FFSS in modo spregiudicato, con conseguenze che fanno a pugni col buonsenso, e i cittadini sperimentano ogni giorno sulla loro pelle l’infima qualità del servizio. Ma la politica glielo permette: quando nel 2009 passò la norma citata – un decreto legge del Governo ratificato dal Parlamento – io presentai in Senato alcuni emendamenti che avrebbero introdotto una vera liberalizzazione ferroviaria. Furono respinti: uno dei tanti casi in cui, sui temi del trasporto e dei servizi pubblici, il governo non ha mantenuto le promesse di liberalizzazione.
La conseguenza è che Trenitalia impone “legittimamente” condizioni monopolistiche in barba ai principi europei e all’interesse dei cittadini. L’immagine di un treno che viene “prodotto” (cioè progettato, noleggiato, equipaggiato di uomini e dotazioni, avviato al servizio) ed è poi costretto a transitare in stazione con le porte chiuse per favorire l’operatore “concorrente” – scusate il termine – rende meglio di ogni altro argomento la stupidità del monopolio, e il danno che arreca ai cittadini.

Scusa Senatore, ma qualcosa nel ragionamento mi sfugge. Un contratto tra due parti -sia pure una di esse una Pubblica Amministrazione- può escludere un terzo dall’esercizio del suo diritto di impresa? E ancora: la parte a tutela della quale sarebbe stata posta la clausola esclusiva non è interessata ad esercitarla, anzi. Però l’altra parte la invoca e la applica. Mi pare tutto Kafkiano o (siamo in Italia) Pirandelliano.
Da liberale, solo due considerazioni generali, senza addentrarmi in contorsioni mentali che non ci appartengono:
1) il libero mercato è bene pubblico per eccellenza e come tale va tutelato con le sole eccezioni espressamente previste;
2) la libertà impresa e la libera concorrenza un’indispensabile garanzia per il libero accesso al mercato.
Forse non sono sufficienti, ma mi paiono una buona base di partenza