“La gente non si mangia mica la cultura”, questo il commento lapidario con cui, qualche mese fa, il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha chiuso a chi gli chiedeva di «allargare i cordoni della borsa» per rilanciare un settore boccheggiante come quello dei Beni Culturali.
È chiaro che dietro questa boutade il titolare del dicastero di via XX settembre abbia voluto celare la propria preoccupazione circa l’ipertrofia del debito pubblico del nostro paese. Tuttavia, non va trascurato il vantaggio competitivo, in termini di attrattività dei flussi turistici, fornito dall’insieme di bellezze artistiche e paesaggistiche che costellano lo Stivale. Così come non può essere tralasciato l’impatto del Turismo rispetto all’economia nazionale.
Diversi sono i dati empirici che supportano quanto scritto. Il Country Brand Index, ad esempio, può essere interpretato al pari di un rating delle caratteristiche di ciascun Paese del mondo. Tale indice (sintesi del rapporto annuale elaborato da Futurebrand e BBC) conferma la leadership dell’Italia nella classifica dei 25 migliori Paesi per il patrimonio artistico e culturale; mentre assegna al Belpaese il secondo posto, dopo Israele, per il ruolo nella storia. Nonostante la notevole “dotazione” di cui dispone (testimoniata anche dal primato sul numero di siti Unesco), la nostra Nazione si posiziona soltanto al XV posto nella classifica per il turismo. Fra i Paesi che ci precedono troviamo, per citarne alcuni, Spagna, Francia e Austria, tra le destinazioni europee, oltre che Mauritius (al primo posto), Canada, Giappone e Stati Uniti tra le mete mondiali.
Quanto alla rilevanza economica del settore, è sufficiente citare i dati del World Travel & Tourism Council, secondo cui il business dei viaggi contribuisce per il 3% sul PIL italiano. Valore che cresce fino all’8% (pari a oltre 130 miliardi di euro) se la contribuzione alla ricchezza nazionale si considera in modo più ampio, includendo la domanda privata, le spese per viaggi d’affari, i consumi e gli investimenti pubblici e il netto della bilancia commerciale.
Lo studio condotto da PricewaterhouseCoopers e posto a corredo del Piano Nazionale del Turismo presentato da Federturismo Confindustria, mostra come il rendimento del settore in Italia sia allineato a quello di altri paesi come Francia, Cina e Gran Bretagna. Tuttavia, nell’analisi proposta si legge che “dato il capitale a disposizione, il nostro Paese potrebbe porsi l’obiettivo di raggiungere incidenze del Pil del settore più vicine a quelle di economie a maggiore vocazione turistica”.
Per farlo, il piano prevede 5 azioni finalizzate a raddoppiare la quota di PIL e di occupazione del turismo in 10 anni: intervento sulle strutture recettive per incrementare la capacità di attrarre flussi turistici; destagionalizzazione del business; incremento del turismo culturale/artistico di stranieri al sud su valori allineati al resto del Paese; focalizzazione su strumenti di analisi della domanda e marketing; sfruttamento di eventi esogeni per incrementare le presenze intercettando i flussi di visitatori.
