Da più di una decina di anni assistiamo ad una battaglia di Rapporti sui diritti dell’Uomo che ha l’obiettivo di puntare il dito sul più “cattivo” del Mondo. In prima linea troviamo la Cina e gli USA, impegnati in un continuo, concitato litigio a botta e risposta. Obama, durante la sua visita ufficiale in Cina (2009) è stato criticato per non aver dato all’argomento il giusto peso. La questione è stata affrontata nuovamente durante la visita del Presidente Hu negli USA lo scorso gennaio. In quell’occasione Obama ha espressamente detto al suo omologo cinese che “in quanto americani abbiamo sempre avuto idee saldamente ancorate sull’universalità di alcuni diritti – la libertà d’espressione, la libertà di religione, la libertà di riunione, diritti che pensiamo essere fondamentali e che trascendono le culture”. Il Presidente cinese ha riconosciuto che nel suo Paese rimaneva “molto da fare” nel campo dei diritti umani, anche se “grandi progressi” erano stati compiuti in materia.
Ma quale verità c’è dietro a questi convenevoli? Si conoscono le violazioni dei diritti umani del periodo del “Grande Balzo in avanti”, politica che ha causato la morte di venti- trenta milioni di cinesi malnutriti e dopo le manifestazioni di Piazza Tien’anmen nel 1989, dove si stimano esserci stati tra i 400 e 2000 morti e 7000 feriti. Le denunce del Dipartimento di tato americano sono gravi e da anni gli attivisti cinesi si battono per far venire a galla le verità scomode. Anche se il governo cinese ha riconosciuto l’esistenza di una serie di fallimenti, afferma che la situazione sta migliorando rapidamente. Tiene a precisare però, che la nozione di diritti umani deve soprattutto tener conto delle condizioni di vita, salute e prosperità economica. Aggiunge che alcuni eventi, percepiti come “dubbi” da gruppi o Nazioni esterne alla Cina, sono considerati dal governo “necessari” per il rispetto dell’ordine pubblico e la stabilità sociale… Dal XIX secolo il governo cinese ha lavorato per ottenere uno Stato forte, che potesse assicurare la sicurezza economica e quindi l’armonia. La concezione cinese dei “diritti”, così com’è formulata nel pensiero di Liang Qichiao (1873-1929), si concentra sull’obbligo del cittadino di assicurare uno stato prospero e potente e non sull’obbligo dello Stato di garantire delle libertà. Seguendo questa tradizione, le autorità cinesi hanno sempre sottolineato essere fondamentali i “diritti positivi materiali” come cibo, vestiti, macchina, telefonino e non i “diritti negativi e immateriali” come il diritto di parola, di espressione e la libertà di riunione. In altri termini, il governo cinese vede nell’aumento del livello di vita, il miglior indicatore del miglioramento della situazione dei diritti umani. Le grandi promesse fatte all’occidente nel 2009, garantivano le libertà fondamentali come quelle politica e civile, così come i diritti delle minoranze tibetane e ouighour. Abbiamo invece visto la condanna dei dissidenti a lunghe pene in prigione o domicilio coatto, il controllo dei media e di internet, e la vigilanza sugli avvocati difensori dei diritti umani e delle ONG. In risposta al conferimento del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiabao, c’è stata un’ondata di repressione contro la dissidenza reale o supposta. Sembra che la Cina più che voler proteggere la sua popolazione, faccia, attraverso le sue “promesse”, un opera di “relazioni pubbliche”… E intanto le libertà di circolazione, di stampa, di parola, di religione, politiche, di difesa mancano totalmente. I dati sulla pena di morte sono coperti da segreto di stato…
Ma la Cina, non subisce passivamente e risponde alle critiche statunitensi con il “suo” personale Rapporto, redatto per “aiutare la popolazione mondiale a capire la situazione reale dei diritti umani negli USA”. Il testo è stato redatto tenendo in considerazione sei temi: vita; sicurezza personale e tenore di vita; diritti civili e politici; diritti culturali, sociali ed economici; discriminazione razziale; diritti della donna e del bambino; violazione dei diritti umani degli USA nei confronti di altri Stati. Vi si dipinge una storia lugubre di diritti violati… Il governo americano sorveglia e limita senza scrupoli la libertà di parola, di stampa e su Internet quando in gioco ci sono i suoi interessi, la discriminazione razziale rimane un problema cronico, la violenza minaccia la vita, la proprietà e la sicurezza personale degli americani, soprattutto donne e bambini, la polizia abusa spesso e volentieri del suo potere, la popolazione povera aumenta e aumenta con lei il numero di suicidi, il diritto dei lavoratori viene calpestato e i costi delle assicurazioni sanitarie proibitiva per molti, per non parlare degli abusi sui prigionieri nelle basi USA sparse nel mondo. Ma gli USA si ispirano alle teorie di Locke: un governo non può esistere che per difendere le libertà individuali. Così come nessun governo può violare questi diritti fondamentali… Dove sta la verità?
Della Cina sappiamo, o crediamo di sapere, tutto. Possiamo giudicare una cultura così lontana dalla nostra? Certamente vi sono gravissime inadempienze in materia di diritti dell’Uomo, ma un popolo che ha fatto la fame vera per secoli non può far suoi valori astratti che non fanno parte del suo retaggio culturale. E’ anche vero che questo non può servire come “scusa” per far sparire la gente senza motivo, arrivare ad una via di mezzo? Alla luce di questi Rapporti, più o meno distorti che siano, viene però anche da chiedersi: gli USA sono ancora una democrazia? In molti si sono posti questa domanda anche in funzione del “Patriot Act” (serie di misure di sicurezza adottate dopo l’11 settembre 2011 per “combattere” il terrorismo). Non dobbiamo dimenticare che gli USA hanno una fortissima tradizione in materia di libertà individuali. Questi dispositivi che hanno come obbiettivo di rafforzare la sicurezza , restringono la libertà, è vero. Ma in un Paese minacciato dagli attentati è necessario “difendersi”. Ciclicamente ci sono negli USA episodi di “regressione democratica” (la caccia ai comunisti negli anni 50 per esempio). La forza della nazione americana risiede forse proprio in questa capacità di “temporanea” rinuncia ai suoi valori essenziali, che costituiscono tuttavia lo zoccolo duro della potenza di oggi e di domani di questa “giovane” Repubblica.
