“Che belle le feste d’estate! Gli amici aprono le case e i loro giardini, le sere s’illuminano delle luci tremolanti delle candele e l’aria di zanzare e pappataci in crisi d’astinenza. Uomini in maniche di camicia e donne in tenuta da combattimento vestite come dame della regina Elisabetta, chiacchierano allegramente con amici e conoscenti. Alcuni esempi al limite della decenza, modello di dietro liceo davanti museo, cinguettano con tutti, dispensando consigli con noncuranza e occhiate di scrutamento. Il discorso tipo è: cara stai benissimo, che bello questo abito, ti dona. Appena la Cara si allontana il tono cambia: è invecchiata di dieci anni, gli si scuce un punto dagli zigomi, quel vestito lo mette sempre. Io, come una sentinella silenziosa mi aggiro e ascolto.

Intravvedo il famoso regista in odore di vaticano e mi viene in mente una distesa di girasoli, Don Matteo in bicicletta che pedala senza sforzo, manco una goccia di sudore: i capelli delle stesso colore del cerone, gli occhi scintillanti illuminati dalla parola di Dio; io, nell’ombra. Alla guida di un SUV nero con i vetri neri la targa nera insomma tutto nero, lo punto e zac, lo falcio come una spiga di grano, la bici da una parte, il basco dall’altra e lui, finalmente, in paradiso for good: la prossima serie la gireranno al cimitero. Mi risveglio dal sogno e vedo arrivare l’uomo che, cresciuto a botte di vincisgrassi e ciauscolo, ha costruito un impero sui mocassini, tutto abbronzato, cammina un metro da terra, i capelli incollati a giusta distanza dalla fronte (lo stesso coiffeur di Valentino), incede come un re circondato dalla plebe. Dopo poco la moglie di uno stracciarolo che ha fatto fortuna con gli abiti da zoccola, entra aggrappata alla sua bottiglia di vodka. E tutti incontro, tutti che vogliono parlare con loro, dicendo, ti ricordi? Una volta nel 1987 abbiamo preso un taxi insieme, mi ricordo come ora. Loro li guardano con lo stesso interesse dimostrato a un rom che chiede l’elemosina. Io che vivo di altri ricordi converso con il maitre e volgo lo sguardo a Firenze che splende poco lontana e ascolto le amenità di gente perbene, di gente non c’è male, di fagioli rampicotti, di vorrei ma non posso, di posso ma sono avaro, di umanità diversamente socievole, portatrice sana di superficialità.”

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