Lo scorso marzo l’accordo raggiunto fra la Holding francese Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy) e i vertici di Bulgari ha sancito il trasferimento del controllo del gruppo simbolo del lusso italiano. Il deal, definito amichevole dai consigli d’amministrazione delle società coinvolte, è stato descritto dagli addetti ai lavori come un’operazione “senza precedenti” per via del prezzo (12,25 euro/azione) e degli incentivi riconosciuti al venditore in cambio della cessione del pacchetto di maggioranza.
Al di là delle considerazioni campanilistiche che hanno interpretato l’acquisizione come il trionfo del sistema economico d’oltralpe su quello del Belpaese, il mercato ha valutato positivamente l’operazione quasi a testimoniare che in un contesto di libero scambio non contano le necessità protezioniste, ma i “fondamentali”. It’s the business, stupid! Direbbero oltreoceano.
«L’ingresso in Lvmh consentirà a Bulgari di rinforzare il suo sviluppo su scala mondiale e di realizzare sinergie significative soprattutto nell’ambito degli acquisti e della distribuzione», ha commentato l’ad della casa del lusso romana Francesco Trapani; mentre l’acquisizione permette a monsieur Arnoult, maggiore azionista del gruppo francese, di andare all’attacco del suo più grande rivale nel settore hard luxury, lo svizzero Richemont, proprietario di Cartier.
Il 30 giugno scorso, dopo il via libero all’operazione da parte dell’Antitrust europea, si è perfezionato il conferimento delle azioni detenute dai fratelli Nicola e Paolo Bulgari in cambio di nuove azioni emesse da Lvmh e si è proceduto all’aggregazione delle due società. La multinazionale transalpina ha così “conquistato” circa il 75% di Bulgari quindi, come da accordi e secondo la normativa vigente, ha lanciato un’OPA (offerta pubblica di acquisto) al prezzo di 12,25 euro ciascuna sulle azioni di minoranza rimaste sul mercato.
Qui il colpo di scena inaspettato che potrebbe rendere la scalata più esosa del previsto: un esposto recapitato alla CONSOB da parte di tre fondi anglosassoni detentori di una quota di minoranza nella società italiana, accusa il colosso parigino di aver violato il principio della parità di trattamento tra tutte le categorie di soci, riconoscendo ai fratelli Bulgari un prezzo maggiore rispetto all’offerta pubblica. L’oggetto del contendere riguarda la cessione di 57.000 azioni Bulgari la cui indicazione è stata omessa dalla famiglia nel protocollo di marzo (un’inezia rispetto al passaggio di 152.486.348 azioni comunicato al mercato) e che sarebbero state cedute a 13,45 euro per azione.
Un “errore” che comporterebbe per Lvmh un esborso ulteriore di circa 300 milioni di euro, derivante dall’obbligo di adeguamento del prezzo dell’OPA di 1,20 euro per azione.
Dal canto suo la società francese smentisce la vicenda e nega ogni addebito, ma se l’inchiesta doverosamente aperta dall’authority della Borsa dovesse dimostrare la fondatezza delle accuse il takeover già caro (4,3 miliardi di euro) diverrebbe carissimo.
Un’operazione di conquista che avrebbe il sapore amaro di una vittoria di Pirro.
