Cambogia e Thailandia sono sempre sul piede di guerra. Ultimamente sono ripresi i combattimenti per il tempio di Preah Viehar al confine tra i due paesi. Ma cosa c’è alla base di questo acerrimo attaccamento per un tempio perso in fondo alla foresta? Nel 1962, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite decide, che il tempio di Preah Vihear fosse in territorio cambogiano. Ma il vero problema non è il tempio. Quello che rifiutano i thailandesi è il riconoscimento della mappa sulla quale si è basata la decisione dell’ONU. La disputa ha, ovviamente, radici nel colonialismo. Esistono due carte della regione. La prima, frutto di un accordo del 1904 tra Francia e Siam, è a vantaggio della Thailandia, la seconda, tracciata tre anni dopo interamente dai francesi è quella sulla quale si è basata la decisione del 1962. Il fulcro del problema è determinare quale delle due carte fa fede ed è una questione fondamentale, perché si tratta di 27000 kmq di terre ricche in risorse naturali.
Le relazioni tra Thailandia e Cambogia tra il 1993 e il 2003 sono state buone. Sono degenerate quando a Phnom Penh sono circolate alcune voci: la gente ha cominciato a dire che i Thailandesi rivendicavano la proprietà di un altro tempio importante, l’Angkor Vat. Nessuno sa da dove le voci provenissero, ma non è impossibile che siano state diffuse dai dirigenti politici cambogiani. Hun Sat voleva favorire le imprese vietnamite a discapito di quelle thailandesi già presenti da tempo sul territorio. Il modo più semplice per scaricarle? Far rinascere il sentimento anti-thai. I cambogiani (il “popolo”) sono convinti che questo conflitto sia provocato dai militari thailandesi. Il diritto (la sentenza del 1962 ne è prova) da ragione al governo di Phon Penh, ma a Bangkok, questi territori “persi” accendono il fuoco nazionalista, soprattutto nei momenti di crisi politica. Dal 2007 non è che una successione di ministri. Nel 2008 poi, l’UNESCO ha classificato il tempio patrimonio mondiale dell’umanità, scatenando l’isterismo della popolazione. Ciclicamente si combattono queste vere e proprie “piccole” guerre , che mettono a rischio non solo la popolazione, ma anche i “nobili resti. Tirare in ballo il nazionalismo nei momenti di “difficoltà” è una soluzione astuta: vedere l’albero e non la foresta, niente di più semplice.
