Dal 1960 in poi, la politica africana della Francia è quasi un’esclusiva del Capo di Stato, consigliato dalla sua “cellula africana”. Di fatto, le relazioni franco-africane non sottostanno ad alcun controllo parlamentare, sia sul piano diplomatico e militare (sostegno ai dittatori, accordi di cooperazione militare, interventi armati della Francia…) che su quello economico (aiuti pubblici allo sviluppo).
Dal 1958, la Costituzione delle V Repubblica, fatta su misura per de Gaulle, conferisce al Presidente della Repubblica una grande libertà d’azione nelle relazioni internazionali. Così, nel 1960, all’indomani dell’indipendenza delle sue colonie africane, Jacques Foccart, uomo di fiducia del Presidente, stabilisce un nuovo sistema di controllo politico, economico, monetario e militare che poggia sulle “3 E”, l’Eliseo (e la sua cellula africana), lo Stato Maggiore e Elf (creata appositamente per assicurare l’indipendenza energetica della Francia). I presidenti che sono succeduti a De Gaulle hanno tutti approfittato di questa sorta di governo parallelo degli Affari africani, gestiti da loschi figuri, sicuramente molto influenti ma specializzati nel lasciare tutto quello che riguardava l’Africa nella nebbia. Mitterand mise addirittura suo figlio Jean-Christophe a capo della “cellula”, e Chirac richiamò, nel 1995, Foccart. Amico di molti dittatori africani, Chirac si è spesso circondato di consiglieri coinvolti in oscure vicende politico-giudiziarie, difensori di una visione arcaica e paternalista delle relazioni franco-africane, senza mai preoccuparsi dell’ esistenza di Parlamento, Giustizia, stampa, in nome della forza datagli dalla Costituzione in materia di Africa.
L’accavallarsi poi di strutture “legali” preposte alla cooperazione come il Ministero degli Affari Esteri, la Segreteria di Stato per la Cooperazione e la Francofonia, la Segreteria di Stato per i Diritti Umani, ecc. contribuiscono ad ingarbugliare ancora di più la situazione in quanto a competenze e priorità. L’apatia del Parlamento si spiega per i limiti costituzionali (la V Repubblica non è un regime parlamentare). L’onnipotenza dell’esecutivo e della strettissima rete di rapporti più o meno “personali” che si è creata in questi cinquant’anni, hanno goduto anche di una larga impunità giudiziaria. Il margine di manovra di quei pochi giudici che volevano vederci chiaro su questioni “spinose” come l’Angolagate, si vede oggi ulteriormente ridotto dalla volontà di Sarkozy di riformare la giustizia, che vedrebbe soppressa la figura di giudice d’istruzione.
Ma Sarkozy cosa vuole? Durante la campagna elettorale aveva promesso un cambio di rotta (Coutounou 2006), il discorso di Dakar del 2007, dove asseriva che “gli africani non sono ancora entrati nella storia”, non è stato un buon inizio e l’intervento armato in Costa d’Avorio se gli ha fatto prendere “punti” in patria e agli occhi dell’occidente, dall’altra gli ha fatto perdere credibilità in Africa visto che a Cape Town nel 2008 aveva promesso che mai le truppe francesi avrebbero aperto il fuoco sul suolo africano. La verità è che la politica di Sarkozy è allo sbando. Nei primi quattro anni di presidenza ha privilegiato i rapporti con l’Europa, per mesi il posto di ministro per la cooperazione è stato vacante e la cosa sembra non aver colpito nessuno. Tre anni fa ha sostenuto, in modo molto dubbio, le elezioni di Omar Bongo, figlio di Ali, presidente del Gabon e pilastro della Françafrique. Oggi con l’intervento ad Abidjan è stato promosso campione della democrazia in Africa, ma non c’è da scommettere che domani farà lo stesso per un altro paese africano. Non si chiama forse più françafrique ma rimane un mix di espedienti politici, interessi personali, operazioni opache, disinteresse che portano l’Africa ad essere sempre più riconsiderata, da troppi, terra di conquista.
