In Italia, la difficoltà di accesso al mondo del lavoro da parte delle generazioni più giovani rappresenta una criticità sempre maggiore. Secondo i dati Eurostat, il Belpaese si trova al terzo posto in Europa per numero di giovani sotto i 25 anni non occupati. A giugno il tasso di disoccupazione giovanile nel nostro paese si è attestato al 27,8% (lo scorso anno era al 27,5%) contro una media Ue-17 del 20,3%; un valore superato soltanto dal record spagnolo del 45,7% e dal tasso slovacco al 33,3%.
È evidente l’opportunità, se non addirittura l’urgente necessità, di un patto generazionale che renda possibile la creazione di nuovi posti di lavoro. In questo senso, l’innalzamento dell’età pensionabile consentirebbe di liberare risorse pubbliche che potrebbero essere ridistribuite sotto forma di incentivi all’assunzione e sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani collaboratori.
Inoltre, l’ingresso di giovani lavoratori in azienda apporterebbe ingenti vantaggi all’intero sistema capitalistico italiano. La cosiddetta “Generazione Y” è infatti composta da quegli individui che, nati fra il 1980 e il 2000, non hanno mai conosciuto un mondo senza internet e cellulari. I nati delle prime due decadi hanno concluso (o stanno per concludere) il proprio percorso di studi e, approdando al mondo del lavoro, potrebbero produrre una spinta innovativa non indifferente. Basti pensare ai miglioramenti di efficienza produttiva derivanti dall’informatizzazione dei processi ovvero a strumenti quali l’e-commerce o il social-marketing che costituiscono fonti potenziali di vantaggio competitivo ancora scarsamente utilizzate dalle imprese tricolore.
Per tentare di risolvere l’annoso problema della disoccupazione giovanile non occorre addentrarsi nella ricerca di miracolose ricette risolutive, basta guardare alle best practices dei Paesi virtuosi. Valga come esempio l’Olanda che costituisce il benchmark di riferimento fra i paesi dell’Unione grazie alla percentuale di giovani disoccupati più bassa d’Europa, 8,7%. Gli elementi costitutivi di questo straordinario risultato sono tre: collocamento, formazione e training-on-the-job. Il collocamento è stato decentralizzato ai Comuni, divenuti luoghi in cui s’incontrano domanda e offerta e si organizzano corsi di formazione; l’istruzione professionale è flessibile e strutturata in modo da rispondere alle esigenze delle imprese del territorio; infine, si è favorita l’integrazione fra studio e lavoro (circa sei studenti olandesi su dieci hanno un’esperienza lavorativa durante gli anni del liceo). La strada è segnata, basta percorrerla.
