Avvicinarsi alla Costituzione italiana partendo dalle aggressioni continue che alla legge fondamentale vengono compiute da sessantaquattro anni a questa parte. A seconda della convenienza dei governi in carica, di centrodestra o centrosinistra, senza differenza. Antiberlusconismo sì, in questo libro. Ma non solo. Un esempio storico? Dopo ben otto anni (parliamo quindi del 1955) dalla sua entrata in vigore (1947), in Italia resistevano ancora i princìpi che avevano caratterizzato il ventennio fascista. “Ogni cosa continuava a funzionare secondo norme vecchie e autoritarie, come se la Carta repubblicana non fosse mai stata battezzata”.

Parole, queste ultime, scritte in un recente e appassionato saggio da Michele Ainis (costituzionalista, docente presso l’università Roma Tre della Capitale). Parole usate per spiegare quello che sarebbe un vero e proprio assalto sprezzante e distruttivo, da cui il titolo L’assedio. La Costituzione e i suoi nemici (gennaio 2011; Longanesi; pp. 271; € 15). Parlando della Costituzione, l’autore approfitta per offrire un riassunto sia della Costituzione stessa, sia della storia politica e sociale d’Italia a partire dal dopoguerra, dopo la tirannide mussoliniana. Ammettendo che forse con la Carta sia scaturita un’eccessiva complessità di leggi a partire dalle “stesse lungaggini della giustizia” ma che queste leggi, come diceva Montesquieu, “sono il prezzo che si paga per la propria libertà, tant’è che il tiranno pensa «innanzitutto a semplificare le leggi»”.

E’ pratico, per capirci meglio, prendere spunto dall’istituto del referendum, in un momento in cui i liberali italiani avanzano in prima linea a suo sostegno. Se verranno raccolte 500mila firme entro la fine di settembre – una consultazione popolare potrebbe risultare decisiva per l’abrogazione dell’attuale legge elettorale (conosciuta giustamente col poco edificante appellativo di Porcellum) e per la reviviscenza della legge precedente (Mattarellum) che, seppure non priva di criticità, potrebbe ridare fiato a una democrazia rappresentativa (quella in cui è l’elettore a scegliere i propri rappresentanti in Parlamento) al posto di una “democrazia – come dice Ainis – d’investitura che a conti fatti svuota il principio della sovranità popolare, perché taglia la lingua ai cittadini, li rende spettatori silenziosi fra un’elezione e l’altra”. Un punto di vista su cui l’autore si sofferma con determinazione parlando, appunto, di una porcata elettorale (il titolo di un paragrafo del libro). Perché, dice, l’assurdo, “il vizio grande quanto un grattacielo” del Porcellum “ risiede (…) in primo luogo nel premio di maggioranza alla coalizione più votata (340 deputati): un premio in sé modesto quando la gara si sviluppa fra due soli avversari, che però diventa stratosferico se scende in pista un terzo giocatore, o addirittura un quarto”. In parole povere viene violato “così il principio costituzionale dell’eguaglianza del voto, e in conclusione” messo “fuori scena un personaggio”, ridotto “a un figurante senza voce: l’elettore”. Sembra di sentir parlare i componenti del comitato promotore del referendum anti Porcellum (vedi anche il sito www.referendumcontroporcellum.it).

Ainis dedica un intero capitolo a tale paradosso costituzionale e lo intitola Contro la democrazia dei cittadini. Perché il referendum abrogativo “è la seconda scheda che”, alla nascita della Costituzione, venne consegnata agli italiani. “«La gemma della Costituzione» nelle parole di Norberto Bobbio, ma il referendum è diventato ormai una salma (…) E’ morto, ne parleranno semmai i libri di storia. O almeno è morta la creatura che negli anni Settanta ci consegnò divorzio e aborto”, scrive Ainis con un certo pessimismo. Chi, invece, si batte per una Rivoluzione Liberale, conosce gli scempi ma resta ottimista e lotta. “I politici si sono inventati il richiamo all’astensione”. I nemici del referendum sono talmente avidi riguardo al risultato del voto, “da impiegare trucchi, espedienti, scorciatoie pur di raggiungere” l’obiettivo. “Tutto l’opposto dello scenario disegnato dai padri costituenti nel 1947”.

Ainis, nel complesso, elenca una serie di attacchi scatenati sin dal principio, non esclusi quelli da parte di nomi illustri del liberalismo post-risorgimentale e loro affini. Come Salvemini, che la definì un «pateracchio»; come Croce, che ne parlò in termini di “un compromesso di basso profilo – ricorda Ainis – «un reciproco concedere e ottenere»”. Dialogo e scontro e apertura e capacità di cambiare idea e tolleranza reciproca. L’essenza del liberalismo, diciamo noi. E difatti in ogni anfratto della Costituzione sono inserite norme che elèvano e sostengono il liberalismo. E’ su questa base che nel ’47 “l’unità prevalse sulla divisione”, sottolinea Ainis. Un processo di cui “adesso s’avverte la mancanza”.

L’autore, quindi, si dilunga sul concetto di pluralismo, e riscopre l’articolo 5, per cui “come scriveva Carlo Esposito, maestro del costituzionalismo liberale” è indispensabile “il principio propulsivo, nel senso del decentramento del potere pubblico” che tuteli il cittadino dal tentativo dello stesso Potere di apportare “riforme che possano disgregare il nostro tessuto connettivo, anche se approvate nella veste della legge costituzionale. L’art. 5 – scrive ancora Ainis – è quindi un limite assoluto alla revisione”, della Carta fondamentale. E qui entra in gioco l’importanza del Presidente della Repubblica che, secondo l’articolo 87 «rappresenta l’unità nazionale». “Il Presidente incarna la forza permanente dello Stato al di sopra delle fuggevoli maggioranze”.

Nella sostanza, insomma, il saggista invita a guardare negli occhi “quest’anziana signora sotto assedio. Proviamo a fermare la sua immagine, perché non è detto che resisterà (…) ancora a lungo”. Proprio di fronte a tale rischio Ainis ricorda che c’è un articolo, il 139, “dove si stabilisce che «la forma repubblicana non è oggetto di revisione costituzionale»”. In conclusione l’autore di quest’opera non difende tanto la legge fondamentale nel senso di proteggerne la sua rigidità, bensì si erge a suo paladino contro gli attacchi indiscriminati, tentativi di violarla scavalcando o trasgredendo gli stessi precetti che la vogliono preservare nello stato più simile possibile a quello del 1947. Difendere la Costituzione, perciò, vuol dire esigere che ogni modifica avvenga nel rispetto delle regole e della filosofia primigenia.

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1 COMMENTO

  1. Grazie a Rivoluzione liberale.it che segnala, con questo articolo, un libro che mi premurerò di leggere molto volentieri. In Italia si parla troppo poco di due fatti importanti che caratterizzano la storia della nostra Repubblica. Gli attacchi continui alla Costituzione da parte dei governi (e delle maggioranze) di turno e la “capacità” della Costituzione in quanto tale a resistere, finora, agli stessi attacchi.
    Per fare un esempio vorrei ricordare che la riforma di oltre 50 articoli della Costituzione decisa nella Baita di Lorenzago è stata bocciata con referendum nonostante anche nell’opposizione ci fossero molti tifosi occulti di quel tentativo di smantellare il testo voluto dai padri costituenti. E’ la dimostrazione di come la Costituzione sia stata ben congegnata per consentire alla coscienza profonda del nostro Paese di trovare una giusta sintesi degli interessi generali a fronte di interessi particolari e contingenti delle maggioranze parlamentari.

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