Parlare male dell’azione del Governo e del decreto Anticrisi sembra quasi superfluo visto che non viene nemmeno difeso dal giornale di famiglia del Presidente del Consiglio e che i malumori nella maggioranza sono sempre più diffusi. Quando i nodi sono venuti al pettine si è visto che in questa maggioranza i liberali hanno solo un ruolo di rappresentanza; per quanto siano apprezzabili, le critiche e le proteste dei vari Martino, Crosetto, Pera e Galan dimostrano solo che – nella coalizione di Governo – le loro idee e proposte rimangono praticamente inascoltate e il peso è pressoché nullo.

L’aumento delle tasse porterà lentamente all’eliminazione del risparmio delle famiglie italiane e al loro indebitamento. In pratica lo Stato per salvare sé stesso fa indebitare gli italiani, smantellando uno dei pilastri del nostro sistema che è proprio il risparmio dei privati. Una scelta del genere oltre ad essere immorale è anche sbagliata, perché non risolverà alcun problema strutturale: una macchina così inefficiente come quella statale brucerà tutte le risorse che preleverà attraverso le tasse (non chiamiamole per favore ‘contributi di solidarietà’) e continuerà a macinare debiti.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Le contestazioni e le polemiche dell’opposizione di sinistra sono indirizzate su come modulare la tassazione e sulle fasce da colpire, ma non certo sul fatto che essa sia indispensabile. Anzi sono state proprio importanti personalità della sinistra a lanciare per prime la proposta di una patrimoniale, non personaggi qualsiasi, ma leader del calibro di Amato e Veltroni che hanno indirizzato le scelte politiche della sinistra negli ultimi 20 anni.

Insomma sia per la sinistra, in continuità con le sue scelte politiche, che per il centrodestra, in palese contraddizione con le idee professate, l’unica soluzione per ridurre il debito e il deficit  è tartassare gli italiani. Ma questa scelta è inevitabile o c’è una soluzione alternativa? La soluzione alternativa è smantellare la spesa dello Stato che si è dimostrato sprecone ed inefficiente. Non si tratta semplicemente di tagliare i costi della politica, i piccoli privilegi, i pasti a 2 euro alla buvette della Camera e le auto blu; questi sono gli sprechi che fanno più rabbia, ma la loro eliminazione sarebbe solo una semplice spuntatina alle unghie della spesa pubblica.

La ricchezza degli italiani di cui si alimenta il parassitismo della casta consiste nelle imprese e società di proprietà dello Stato che valgono oltre 300 miliardi di euro e che servono spesso a sistemare trombati e amici degli amici, a conservare il potere della politica e controllare direttamente o indirettamente quasi 5.000.000 di  posti di lavoro senza produrre ricchezza. La vera patrimoniale dovrebbe colpire lo Stato che prima di prendere soldi dai cittadini dovrebbe autotassarsi dismettendo e vendendo gli oltre 400 miliardi di euro di immobili che, quando non marciscono nell’incuria più totale, sono abitati da parassiti della casta con affitti irrisori.

Come evidenziava il presidente Scognamiglio sulle pagine del nostro giornale “nelle classifiche stilate dall’OCSE la dimensione dello Stato imprenditore in Italia è tuttora la più vasta, superata solo dalla Francia e dalla Corea. Lo Stato è il primo gruppo industriale italiano, con un fatturato di 300 miliardi di euro e 600.000 dipendenti. Per un confronto, la FIAT, che è il primo gruppo industriale privato, ha un fatturato di 50 miliardi e 190.000 dipendenti”.

In pratica ci troviamo in un Paese semi-socialista, in cui lo Stato è l’impresa più grande e in cui le principali coalizioni politiche ritengono più opportuno tassare e prelevare i soldi dai privati, piuttosto che mettere a dieta il Moloch pubblico, viviamo in una Nazione in cui lo Stato conta di più dei cittadini, degli individui e delle famiglie.

Negli ultimi 20 anni questi nodi gordiani non sono mai stati tagliati ed abbiamo assistito, nell’alternanza tra destra e sinistra, ad una perfetta continuità politica; un vero cambiamento non può che venire da un nuovo vento liberale che dia libertà e dignità ai cittadini, agli individui e alle famiglie che non possono essere considerati come strumenti a disposizione dello Stato.

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