Bruxelles – Ci si era lasciati lo scorso 21 luglio al vertice europeo straordinario dove, secondo il presidente stabile del consiglio europeo Herman Van Rompuy, gli Stati dell’Unione “hanno migliorato la sostenibilità del debito greco, adottato misure per arginare il rischio contagio e si sono impegnati a migliorare la gestione della crisi nella zona euro”. I capi di Stato in riunione straordinaria hanno dunque elargito ulteriori 109 miliardi di euro alla Grecia, in concomitanza con il Fondo monetario internazionale che è stato chiamato a finanziamento con il contributo volontario del settore privato, per cercare di colmare totalmente il deficit di finanziamento. Infine si è ampliata la flessibilità del fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) per prevenire ulteriormente la possibilità di contagio. Il fondo potrà concedere prestiti agli Stati in maniera preventiva, ovvero sulla base di un programma precauzionale.
È passato ormai più di un anno dal primo aiuto greco di stampo europeo e la situazione non sembra modificata più di tanto; il 15 settembre, data dopo la quale i fondi stanziati a luglio per la Grecia finiranno, saremo di nuovo ai blocchi di partenza con gli ellenici pronti a varare l’ennesima riforma e i tedeschi che si domanderanno, un po’ retoricamente: perché dobbiamo pagare noi per gli errori degli altri?. Una risposta esaustiva a questa domanda non potrà essere data se non verranno varate riforme che siano incisive, l’ennesimo cerotto probabilmente non sarà sufficiente alla risoluzione completa del problema Grecia/contagio.
Nel frattempo la BCE e l’UE si sono mosse bacchettando il pigro, per usar un eufemismo, Parlamento italiano (utile ricordare le vacanza da scuola elementare che Montecitorio si era inizialmente auto-assegnata) dettando di fatto la linea, ma non solo, per una riforma “lacrime e sangue”; sembra che la lezione Grecia sia stata imparata. L’effetto contagio va previsto e così ci si è mossi, a livello europeo, in anticipo per cercare di evitare un futuro problema Italia. Arrivano brutte notizie anche dal fronte della crescita, in questi giorni infatti Eurostat, l’istituto di statistica europeo, ha comunicato i dati riguardanti la crescita dell’ultimo trimestre dei paesi europei, e i segnali sono tutt’altro che positivi, Germania compresa.
In tema di riforme europee qualche giorno fa si sono riuniti Francia e Germania, Nicolas Sarkozy e la cancelliera Merkel hanno deciso di mandare una lettera congiunta al Presidente del Consiglio europeo, nella quale hanno presentato le riforme che secondo loro devono essere attuate per un miglioramento della situazione nell’Eurozona e per il superamento della crisi. Il primo punto riguarda la governance dei paesi che battono moneta europea, con l’istituzione di un governo economico dei “magnifici” 17 composto dai capi di stato e governo e presieduto da un presidente che stia in carica due anni e mezzo. Il secondo punto della lettera riguarda la c.d. “regola d’oro”, ovvero l’inserimento, entro l’estate 2012, nella costituzione dei paesi della zona euro dell’obbligo di redigere leggi finanziarie pluriennali che abbiano come obiettivo il pareggio di bilancio. La terza proposta riguarda la tassazione a livello europeo delle transazioni finanziarie.
Dunque un incontro, quello tra i due capi di Stato, dal messaggio politico chiaro, superare una crisi ormai asfissiante, ma dai contenuti invece abbastanza oscuri. Per scoprire le modalità di svolgimento delle misure proposte dovremo infatti aspettare settembre, nel frattempo la coppia franco-tedesca ha ribadito il suo scetticismo nei confronti dello strumento Eurobond. È vero infatti che da un lato questo strumento accrescerebbe la solidarietà all’interno dell’Unione, aiuterebbe a combattere la crisi e a tenere a bada la speculazione facendo pagare meno interessi ai paesi in difficoltà abbassando il costo del loro finanziamento. Però avrebbe riflessi negativi sui paesi più forti economicamente in quanto socializzerebbe il debito, in una struttura, l’Europa, che possiede una moneta uguale per 17 paesi, ma diversi parlamenti nazionali che rispondono ad altrettanti elettorati.
