Bruxelles – Le condizioni basilari per entrare a far parte dell’Unione Europea si identificano nel rispetto dei principi di libertà, di democrazia, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ovviamente tutto nella cornice dello Stato di diritto. La Croazia, il paese dei Balcani più vicino all’annessione all’UE, è ormai indipendente da circa una ventina d’anni e questi requisiti li ricopre tutti in pieno. Le procedure per la sua annessione sono iniziate ormai più di sei anni fa e lo scorso 30 giugno è stato stabilito che nel 2013, il 1 luglio per l’esattezza, potrà ufficialmente aggiungere la sua bandiera accanto alle altre 27 davanti alla Commissione europea a Bruxelles.

La Commissione ha dunque chiuso un paio di mesi fa i negoziati di adesione della Croazia all’UE e confermato che la firma del trattato di adesione avverrà entro la fine del 2011. Per quanto riguarda i criteri legati all’acquis comunitario (ovvero l’insieme dei diritti e degli obblighi che accomunano gli Stati membri dell’Unione europea) dei 35 capitoli che compongono e percorrono tutte le politiche e le normative europee, 33 sono stati chiusi e ora il monitoraggio dell’Europa si sta indirizzando verso gli ultimi elementi da sistemare per definire l’adesione della Croazia.

Particolarmente apprezzate sono state le misure varate dai croati nel campo della lotta alla corruzione e in quello della concorrenza. Nel primo caso la Croazia ha avviato riforme che hanno permesso al sistema giudiziario di rinforzarsi e di essere più efficiente con passi in avanti che avranno un riflesso positivo nell’immediato futuro dei cittadini. Per quanto riguarda la concorrenza, cuore del mercato interno UE, la Croazia ha varato piani di ristrutturazione per garantire la redditività di settori strategici dell’industria come quelli siderurgico e della cantieristica navale.

Sempre il 30 giugno a Bruxelles è stato approvato anche il quadro finanziario che prevede fondi strutturali targati UE destinati a rinforzare diverse aree dell’economia croata come il settore delle infrastrutture, le aree rurali, il settore agricolo, le risorse umane, la cooperazione transfrontaliera e lo sviluppo regionale. Nel 2011 il piano è di erogare 156 milioni di euro che fanno parte di un programma di finanziamenti iniziato nel 2007 e che si concluderà il prossimo anno con un erogazione di poco superiore a quella di quest’anno.

Proprio in queste settimane si sta lavorando per la stesura del trattato di adesione, che sarà firmato a dicembre dagli Stati membri e che dovrebbe vedere la luce in una sua prima versione entro la metà di settembre. Nel frattempo la Commissione continuerà a stilare i rapporti sui progressi compiuti dalla Croazia con particolare riguardo alla concorrenza di mercato, giustizia e diritti fondamentali e libertà, giustizia e sicurezza. Il nuovo paese avrà diritto a 12 europarlamentari i quali però, per un primo periodo, non potranno prendere parte alle votazioni e gli stessi rappresentanti croati in Consiglio saranno all’inizio “semplici spettatori”.

Il processo di allargamento dell’UE non riguarda soltanto la Croazia, ma più in generale anche buona parte dei Balcani occidentali, come l’ex repubblica di Macedonia e il Montenegro, che sono gli altri due paesi candidati all’annessione ma più indietro con i negoziati, la Serbia, la Bosnia Erzegovina e l’Albania che sono invece “soltanto” potenziali candidati. Questi i lidi verso i quali si sta avviando la politica di allargamento dell’Unione dopo che negli ultimi dieci anni i paesi sono balzati da 15 a 27, con un inglobamento di dieci paesi in un solo Trattato (2004) e l’ultimo allargamento avvenuto nel 2007 (con l’annessione di Bulgaria e Romania).

Il superamento dell’attuale numero di Stati comporterà però ulteriori sfide, poiché le attuali istituzioni sono state concepite, a partire dal Trattato di Nizza, per un massimo di 27 paesi e un superamento di tale soglia comporterà necessariamente un ulteriore accordo intergovernativo per definire le relazioni tra gli Stati membri nell’ambito delle diverse istituzioni. Dunque in prospettiva un’Europa a 30 dovrà “ristrutturare” le procedure decisionali per evitare la paralisi e mantenere la sua capacità di azione e per continuare a funzionare secondo i principi fondamentali dei trattati.

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