Sul nostro pianeta siamo quasi 7 miliardi di persone. Gli stati sono 201. Siamo tutti uguali, a parte qualche piccola differenza dovuta al colore della pelle, al credo religioso, ai vari stili di vita, alla storia che ci ha preceduti. Piccole differenze che, quando vengono male interpretate si tingono di discriminazione, violenza e sangue. Migliaia di bambini, donne e uomini muoiono ogni giorno dalle cime del Caucaso alle sabbie del Sahara, dai villaggi dell’Africa alle foreste pluviali. Questa è guerra. La si può chiamare guerra per la libertà, per l’indipendenza, per sottomissione, per la democrazia, guerra territoriale, etnica o di religione. Cambiano i nomi ma la guerra no, è sempre guerra e dietro a qualsiasi di queste guerre c’è sempre la lotta per il controllo di una risorsa economica, sia essa i diamanti dell’Angola, la coca della Colombia o il petrolio del Sudan. Sono centinaia di migliaia gli uomini “dediti” alla guerra, decine di miglia i “bambini soldato”, sono infiniti i profughi e le emergenze umanitarie. Dal ’45 ad oggi le guerre hanno prodotto quasi 27 milioni di morti e 35 milioni di profughi. Di queste vittime il 90% sono civili. Rispetto al passato i cosiddetti “effetti collaterali” dei conflitti bellici – e cioè l’accidentale coinvolgimento delle popolazioni – sono aumentati in maniera esponenziale. Lo sguardo del mondo è focalizzato su tutto quello che accade nel bacino del Mediterraneo e dintorni e dalle guerre che toccano, anche marginalmente, gli interessi occidentali. Ma non ci sono solo Iraq, Afghanistan, Libia. Nel mondo sono in corso 36 altri conflitti (qualcuno dice addirittura 50), pochissimi di loro però rispondono ai criteri classici di guerra. Si combattono perlopiù all’interno di un unico Stato, spesso con le rimanenze di arsenali dismessi dalle grandi potenze, machete, kalashnikov e vecchi tank, ma anche con metodi “terroristici” come sequestri, autobomba e agguati kamikaze. Le chiamano guerre dimenticate o conflitti striscianti, a “bassa intensità”. Ma non esistono guerre di serie A e guerre di serie B, non si può fare una scala gerarchica della guerra. Ci sono forse morti più morti di altri? I piccoli conflitti dimenticati continuano a fare vittime lontano dalle telecamere e nell’indifferenza dei “grandi” Stati. Ci sono zone della terra dove i genocidi sono all’ordine del giorno e sembrano essere senza soluzione perché troppo pochi gli interessi in gioco.  La lista è lunga: che siano guerre separatiste, etnico-tribali, civili, religiose o internazionali, queste guerre sono ovunque, nel sud della Thailandia, nel sud-est e nel nord-ovest dell’India, nelle isole Moruc, nell’antica Birmania, Timor Est, Kashmir, Nepal, Aech (Sumatra), Filippine, Sri Lanka, Molucche, Papuasia occidentale, Sudan, Eritrea, Congo Brazzaville, Costa d’Avorio, Repubblica democratica del Congo ( “Guerra Mondiale Africana” con Angola, Namibia, Zimbabwe, Uganda e Ruanda), Repubblica Centrafricana, Senegal, curdi (per il Kurdistan con Siria, Tutchia, Iran, Iraq, Armenia), Algeria, Colombia, Messico, Irlanda del Nord, Paesi Baschi, Abkhazia, Cecenia.

La abbiamo volute ricordare, consapevoli di non poter dare nessuna “formula magica” per la loro soluzione,ma fiduciosi di risvegliare (se non del tutto, almeno in parte) quel senso etico che ognuno di noi possiede ma che troppo spesso viene sopraffatto dal nostro ego.

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