L’altro giorno il premier Silvio Berlusconi è apparso di fronte alle più alte cariche dell’Unione europea: presidente del Parlamento, della Commissione e del Consiglio europeo, per spiegare la manovra dell’Italia e i correttivi che il nostro Paese ha intenzione di apportare per far fronte alla crisi. In realtà, come si sa, la manovra è stata preparata in fretta e furia dal Governo dopo una lettera che si può definire di richiamo verso l’Italia a firma BCE.

Il premier è, dunque, volato prima a Bruxelles e poi a Strasburgo per incontrare i vertici europei; per primi Berlusconi ha incontrato i presidenti Barroso e Van Rompuy, dai quali ha incassato la benedizione sulla manovra. Il presidente del Consiglio europeo ed ex premier belga ha infatti dichiarato che “l’incontro”, quasi quarantacinque minuti, “è stato utile e fruttuoso”, mentre il presidente Barroso si è augurato, elargendo anch’egli giudizi positivi sulla Manovra, che ora l’Italia agisca in fretta per mettere in atto le disposizioni, per ora, soltanto sulla carta.

Doveroso ricordare l’immancabile siparietto di Berlusconi, inscenato secondo il suo personalissimo codice di comportamento che entra in vigore nei vertici internazionali. Il malcapitato Van Rompuy, infatti, ha dovuto assistere impotente al monologo in madre lingua con il quale il Cavaliere si è rivolto esclusivamente ai giornalisti italiani per spiegare di nuovo la Manovra. Il premier è successivamente volato a Strasburgo, dove era in corso l’assemblea plenaria del Parlamento europeo, e dove è stato ricevuto per quasi un’ora dal presidente Buzek. Dunque non i due minuti che il presidente del Parlamento si era detto disponibile a concedere il giorno prima. Anche in questo caso colloquio fruttuoso e molto utile per la discussione di crisi internazionale e situazione italiana.

Sembrerebbe una normale visita diplomatica per intrattenere i giusti rapporti, a maggior ragione in una cornice di costante crisi economica, con i vertici dell’Unione. In realtà sorge spontaneo domandarsi perché il nostro premier abbia organizzato il viaggio in terra d’Europa quando la Manovra ancora non era stata approvata, anzi assentandosi dalle Camere in momenti sicuramente importanti se non addirittura cruciali per l’approvazione della stessa. Probabilmente la scelta del palcoscenico internazionale è una scelta oculata, che può essere letta anche in chiave elettorale, quasi a voler ‘scaricare’ la responsabilità della Manovra su Bruxelles.

Questo, infatti, è il ritornello che si sente ripetere quasi dappertutto, con il quale si rivendica una sovranità decisionale economica riacquistata dopo una cessione temporanea della stessa a un organo sovranazionale. Tuttavia si pecca di ingenuità se si considera un tale scenario verosimile; la Manovra non deve essere vista come un’imposizione compiuta dall’Europa nei confronti dell’Italia, ma come un correttivo necessario fatto dal Governo italiano per gli italiani e il loro futuro.

Se poi è stata imposta dall’alto i motivi possono essere due: o il Governo preferisce la rielezione al salvataggio del Paese e pur sapendo di dover metter mano al portafogli, conscio della perdita conseguente dei consensi, non lo fa (si ricordi la vacanza annunciata ad agosto fino al 15 settembre), oppure non ha la capacità di visione politico-economica necessaria per affrontare i problemi del Paese anche in chiave internazionale: ambedue i casi dipingono uno scenario preoccupante. Tutto questo inoltre è avvenuto il 13 settembre, giorno nel quale i pm napoletani avevano convocato Berlusconi per sentirlo come testimone nel caso Tarantini: il fato a volte è proprio strano.

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