Settembre 2004. Fergus, congedato dalle forze speciali inglesi, convince il suo inseparabile amico d’infanzia Frankie ad arruolarsi nella sua squadra di contractor a Baghdad, attratto dai lauti guadagni offerti dall’imperdibile opportunità di partecipare ad una guerra, quella in Iraq, sempre più privatizzata e invasa dagli U.S dollars. Insieme vivono la tragedia bellica e non solo, tra violenze e terrore, interessi e avidità, fino a quando, nel settembre 2007 Frankie viene ucciso sulla Route Irish, la strada più pericolosa del mondo, quella che collega l’aeroporto di Baghdad alla Green Zone. Fergus però, raggiunto dalla terribile notizia, non considera veritiere le dichiarazioni “ufficiali” sull’accaduto e decide così di intraprendere la sua personale quête con il supporto della vedova di Frankie, per svelare un mistero che si rivelerà dai risvolti inaspettati.
Dopo la simpatica parentesi de Il mio amico Eric, il regista inglese Ken Loach ritorna al suo genere prediletto, il film-denuncia, attraverso la storia di un appartenente alla categoria dei moderni mercenari, chiamati oggigiorno eufemisticamente contractors, uomini assoldati da società private per compiere azioni militari in conflitti ufficiali. Fergus, animato più da un senso di vendetta che di giustizia, difficilmente raggiungibile attraverso le strade lecite, è rabbiosamente alla ricerca dell’ “altra verità” sulla scomparsa dell’amico, in una Liverpool malinconica e piovosa, lontano dal terreno degli scontri militari della Baghdad efferata e sanguinaria del terzo millennio. Quella di Fergus e Frankie è la storia di un’amicizia fraterna e indissolubile, che va oltre ogni cosa, tra il dolore di un amore non vissuto e la sensazione di vuoto che si prova per la morte di una persona cara, sullo sfondo delle due principali problematiche denunciate dal regista: lo sporco e perverso giro d’affari che circonda gli attuali “conflitti di pace” e le spietate barbarie della guerra stessa di cui i mercenari sono protagonisti. Peccato però che il buon vecchio Loach non riesca ad infondere quell’incisività provocatoria e quella saggezza denunciatrice che siamo stati abituati a vedere nelle precedenti pellicole, attraverso una forma del racconto che si presenta esageratamente rettilinea e che rifugge ogni sorta di colpo di scena sconvolgente, o quanto meno coinvolgente per lo spettatore. Cercasi il Loach de Il vento che accarezza l’erba.
