A Teheran, nella guerra per il potere tra l’ayatollah Khamenei e il presidente Ahmadinejad, sembrerebbe che a perdere sia stato quest’ultimo.
Gli osservatori si chiedono da mesi quale impatto possano avere le ‘rivoluzioni’ arabe sulla Repubblica Islamica dell’Iran. Dopo le nebulose elezioni del 2009, la popolazione iraniana aveva in qualche modo dato l’esempio, scendendo per le strade per chiedere l’allontanamento di Mahmoud Ahmadinejad. La repressione era stata feroce. La destabilizzazione e l’indebolimento del regime siriano hanno ostacolato non poco la politica iraniana nel Vicino Oriente, rallentando la sua ingerenza, così come ha colto di sorpresa la diplomazia americana che aveva fissato la sua strategia in un sostegno mascherato a Bachar el-Assad con il fine di spezzare la coalizione Siria-Iran-Hezbollah libanesi e Hamas palestinesi.
Da parte di Israele, i legami militari tra la Siria e l’Iran hanno sempre costituito una fonte di preoccupazione. Sembrerebbe tuttavia che l’Iran abbia finanziato un programma di armamenti, che permetterebbe contemporaneamente alla Siria di disporre di missili puntati su Israele e agli Hezbollah di dotarsi di un migliaio di razzi. Ma il regista di questo grande disegno bellico, il presidente Ahmadinejad è oggi in una condizione politica precaria.
L’istigatore del programma nucleare iraniano e della strategia del confronto diretto con Israele, USA e gli occidentali sta perdendo il potere. L’Ayatollah Khameney gli ha progressivamente tagliato le prerogative e gli appoggi. I dirigenti politici iraniani hanno approfittato del suo viaggio a New York per partecipare all’Assemblea delle Nazioni Unite, il 23 settembre scorso, per spodestarlo. La Guida suprema ha deciso di eliminare i suoi uomini dalla lista dei candidati al Majlis, il Parlamento iraniano, per le elezioni di marzo 2012. Eliminare dal Majlis gli uomini vicini ad Ahmadinejad è il primo passo nel processo di sostituzione al termine del mandato nel maggio 2013 e forse anche prima. La Guida suprema non ha perso una sola occasione per umiliarlo pubblicamente. Di recente, ha aspettato che Ahmadinejad annunciasse in un’intervista alla NBC, il 13 settembre, la liberazione imminente di due escursionisti americani accusati di spionaggio, per bloccare la loro liberazione (saranno liberati una settimana dopo) al fine di sminuire la parola del Presidente, che sicuramente aveva messo in piedi un’operazione mediatica, prima della sua apparizione alle NU, dove invece è stato fischiato.
Ahmadinejad ha concentrato nella sua persona più poteri di qualsiasi altro dei suoi predecessori e le sue velleità di affrancamento dalla Guida Khamenei sono state prese male. Il ‘vincitore’ delle elezioni del 2005 e del 2009 viene criticato per non aver saputo impedire le manifestazioni antigovernative che scossero il regime nell’estate del 2009. Ha definitivamente perso l’avallo del suo mentore il quale gli ha, tra l’altro, impedito di apparire in televisione alla vigilia della sua partenza per gli USA.
Altro esempio della fine programmata del destino politico di Ahmadinejad è l’associazione del suo nome all’inchiesta che verte sulla sparizione di 3 miliardi di dollari depositati in banche iraniane. Il truffatore Amir Manour Aria, vicino ad Ahmadinejad, ha avuto una carriera folgorante nel corso della quale ha ammassato un’enorme fortuna in pochissimo tempo come in pochissimo tempo l’ha bruciata. Il giornale Kahyan, vicino ai mollah, ha accusato Aria di avere dei contatti con l’ex braccio destro di Ahmadinejad, Masha’i, accusato dai conservatori di sfidare l’autorità della teocrazia iraniana. I religiosi vogliono evitare un confronto diretto – che potrebbe diventare violento e sanguinario – sollevando sin da ora il Presidente dal suo incarico e cercano quindi di discreditarlo e via via allontanarlo politicamente in questi ultimi mesi di mandato.
Nuove personalità emergono dai ranghi. I più papabili sono Ari Larijani, responsabile dei negoziati sul Programma nucleare e l’ex ministro degli Esteri Ali Ajhbar Velayanti, consigliere di Khamenei per le relazioni internazionali. Queste due personalità vicine alla Guida Suprema sono due falchi conservatori. Dovrebbero avere una posizione un po’ meno estremista nei confronti degli occidentali e la loro semantica risultare meno provocatoria. Velayanti sostiene di essere sempre stato in rottura con i discorsi belligeranti di Ahmadinejad e di non aver mai appoggiato la dottrina del “cancellare Israele dalle carte geografiche”. Asserisce fermamente che un compromesso sul nucleare può essere trovato con gli occidentali.
Ma tutto questo sarà vero? Che l’era Ahmadinejad sia arrivata a una svolta non è una novità. Il problema ora è capire se, come sembra, le decisioni importanti sono solo appannaggio della Guida, perché allora la situazione potrebbe diventare ancora più problematica. Il 14 settembre, durante la quinta Assemblea Mondiale degli Ahlul Bait (che ha visto riuniti più di mille ulema, religiosi e intellettuali islamici di centoventi Paesi), Khamenei ha messo tutti in guardia dalle minacce contro i Paesi musulmani, tra cui gli sforzi dell’Occidente per seminare discordia tra sciiti e sunniti, chiedendo unità al Mondo islamico e rispettando le raccomandazioni divine, unico mezzo per neutralizzare le cospirazioni nemiche.
Secondo l’Ayatollah, il pensiero materialista del comunismo e del liberalismo non è capace di rispondere alle necessità e alle richieste dell’umanità. Riferendosi alla Primavera Araba conclude, “sono sicuro che la nuova ondata di risveglio islamico spazzerà via tutti i nemici dell’Islam. Sarà la fine soprattutto di Stati Uniti e Israele”.
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