Esiste una correlazione tra la crescita economica di una Nazione e il livello di diffusione, velocità e utilizzo del web nel suo territorio: lo provano diversi studi sviluppati nel corso degli ultimi anni, nazionali (ad esempio, Cittadini e Nuove Tecnologie, Istat del dicembre 2010) e internazionali (Fattore Internet, Boston Consulting Group & Google di aprile 2011, Internet Matters, McKinsey del maggio 2011, per citare gli ultimi) che, al netto dei differenti risultati numerici ottenuti, mostrano chiaramente come tale correlazione sia positiva.
La Rete incide sull’economia nazionale e un miglioramento delle condizioni della prima genera una crescita reale, in termini di pil, nella seconda. Questo avviene in maniera diretta, con l’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online (per oltre 11 miliardi di euro nel 2010), con gli investimenti degli operatori di telecomunicazioni, con il gaming online (si pensi ai 3 miliardi raccolti dal solo poker online nel 2010), con le spese per acquisto di hardware, tablet, smartphones, e quant’altro permetta ‘fisicamente’ di connettersi alla rete.
Ma anche in maniera indiretta, con l’indotto massiccio derivante, a esempio, dall’e-procurement, ovvero l’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione attraverso piattaforme online (7 miliardi), oppure dai prodotti acquistati nel mondo reale dopo essersi informati in rete (stimati in 17 miliardi).
In totale, nel 2010 la web-economy italiana ha contribuito alla crescita per il 2% del Pil, pari a oltre 31,5 miliardi di euro. Per metterla in termini più chiari, si tratta di un valore appena maggiore rispetto a tutto il settore della ristorazione in Italia e appena inferiore al settore dell’agricoltura, al 2,3%.
Nonostante queste siano cifre enormi in una situazione normale e ancor più nel contesto della crisi in cui versiamo, gli studi citati sottolineano che, in questo ambito, siamo ancora molto arretrati. Prendendo gli ultimi dati disponibili, l’Italia si classifica tra gli ultimi posti in quasi tutte le categorie: ad esempio, siamo al ventesimo posto nell’Unione Europea in quanto a possessione di internet e qualità della connessione; il tasso di penetrazione del web nelle famiglie italiane è del 59% contro il 70% della media europea; il tasso di penetrazione della banda larga (connessione ad alta velocità) è pari a quello della Slovacchia, al 49% contro il 61% della media; tra le 100 città con la velocità media di connessione più elevata al mondo figurano Iasi e Costanza, in Romania, e Brno in Repubblica Ceca, ma nessuna città italiana.
Sebbene lo scenario descritto sia la riprova dell’immobilismo nazionale in quanto a innovazione e sviluppo, questi dati evidenziano anche un’enorme opportunità d’azione per il Paese: un raddoppio della velocità media di connessione (che significherebbe semplicemente raggiungere il livello medio europeo) aumenterebbe il pil dello 0,3% mentre una diffusione ulteriore del 10% dell’accesso alla rete sul territorio nazionale si tradurrebbe in un aumento di un intero punto percentuale di Prodotto interno lordo. E queste sono le conseguenze dirette, ma i benefìci si potrebbero estendere molto oltre.
Complessivamente si stima che il giro d’affari di internet in Italia potrebbe raggiungere il 4,3% del pil entro il 2015. E’ un’occasione da cogliere al volo.
Di fronte a questi dati emerge con tutta evidenza la miopia del Governo italiano che proprio l’anno scorso ha congelato gli 800 milioni di finanziamento destinati allo sviluppo della banda larga, i quali, secondo Confindustria, avrebbero prodotto quel 2% di pil che oggi, invece, dobbiamo tagliare dai servizi fondamentali.
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