La situazione del debito pubblico americano, da lungo tempo elevato e peggiorato dopo le spese pubbliche per stimolare l’economia nel 2009, non e’ di sicuro una novità per gli addetti ai lavori, cosi come non lo sono le evidenti difficoltà del Governo americano di raggiungere un piano condiviso sulla riduzione del debito nei prossimi anni.

Il Dollaro ha da sempre costituito la moneta rifugio delle altre economie mondiali, che ne tengono forti riserve in caso di crisi dell’economia locale (un po’ come si fa con l’oro) e quindi il forte debito pubblico americano è da un lato necessario perché le economie estere abbiano disponibilità di moneta statunitense (che siano cash o Tbond) e al contempo assicurato contro possibili svalutazioni della moneta sui mercati internazionali perché ne perderebbero tutti i paesi che li possiedono.

Prima tra tutti la Cina, maggior detentore del debito pubblico americano con 11.154 miliardi di dollari di Tbonds a febbraio 2011, che pur non ha mancato di bacchettare gli Stati Uniti, sollecitandoli ad adottare “misure responsabili” per salvaguardare gli investitori dopo la decisione dell’agenzia Standard’s and Poor della scorsa settimana di rivedere l’outlook del debito pubblico americano da stabile a negativo.

Sin da quando esistono le agenzie di rating la valutazione degli Stati Uniti non era mai stata messa in dubbio, mentre ora c’è una possibilità su tre che nel giro di due anni il rating statunitense venga abbassato (questo il significato di “outlook negativo”) dal livello massimo, AAA, quale è storicamente sempre stato.

Per questo la decisione dell’agenzia S&P, peraltro in contrasto con quella espressa lo stesso giorno da un’agenzia concorrente, Moody’s, ha suscitato clamore nella stampa internazionale.

E’ vero che le valutazioni di queste agenzie, pur ponendo un sigillo di ufficialità delle condizioni macroeconomiche di un paese, giungono in ritardo rispetto alla velocità di analisi dei mercati, specie di quelli più importanti, che infatti hanno reagito marginalmente alla notizia, ed alcuni pensano che abbiano in certi casi una valenza più politica che economica ma il dato rimane a ricordare che anche gli Stati Uniti, pur nella loro posizione di leader dell’economia mondiale, non sono di fatto “intoccabili”.

La reazione oltraggiata a questo blando ma significativo avvertimento ricorda un po’ l’antico reato di lesa Maestà, ma sarebbe meglio se anziché sentirsi indignati gli Stati Uniti giungessero finalmente ad un accordo pianificato e chiaro sulla riduzione del debito, per il bene della loro posizione di leader e per il bene di tutti coloro che continuano a puntare sul dollaro come moneta rifugio, tra cui l’Italia stessa con 24 miliardi e 300 milioni di dollari in cassa.

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