Era il 9 novembre del 1989 quando, dopo 28 lunghissimi anni, venne abbattuto il Muro di Berlino, eretto dal governo comunista della Germania dell’Est nel lontano 13 agosto del 1961, per dividere due mondi antagonisti, nel periodo buio della Guerra Fredda. Oggi, nel 2011, sono passati ben 22 anni eppure la Berlino cinematografica post-Mauerfall sembra essere ancora fortemente segnata da quell’indelebile esperienza, che grava su di essa come un peso spesso inevitabilmente ingombrante, svilendo e opprimendo qualsiasi possibilità di immaginare e di pensare il futuro. Tuttavia, per molti ex-abitanti della DDR (Deutsche Demokratik Republik) non vi è ancora quel sentimento di repulsione e di rifiuto per un periodo che fu tutt’altro che sereno e pacifico, bensì una forte Nostalgie, o meglio Ostalgie, neologismo frutto della combinazione tra le parole tedesche Ost (est) e Nostalgie (nostalgia), per la Germania socialista prima del crollo del muro di Berlino. Questa Ostalgie per la vita quotidiana scomparsa dopo la riunificazione, è stata negli ultimi anni messa in scena da alcune pellicole tedesche, tra le quali spiccano Berlin is in Germany (2001) di Hannes Stöhr e Goodbye Lenin (2003) di Wolfgang Becker. La prima delle due racconta malinconicamente le difficoltà di adattamento alla nuova Berlino di Martin, cittadino della DDR che sconta una condanna in un carcere al momento della riunificazione, e che al suo rilascio, avvenuto undici anni dopo, si trova di fronte un mondo estraneo e spietato. La seconda invece tratta l’Ostalgie attraverso una più sottile ironia, affermando la legittimità della memoria privata della vita nella DDR, una memoria di donne e uomini che non possono e non vogliono lasciar seppellire la loro identità e il loro credo sotto le macerie del muro. Entrambi i film, seppur differenti nell’approccio, emblematizzano appieno quel tentativo di edulcorazione della vita nella DDR, che rifugge ogni sorta di critica ad un periodo che fu terribilmente buio e ideologicamente ipocrita. Cosa che al contrario ha fatto La vita degli altri (2006) di Florian Henckel von Donnesmark, indagando lo scenario culturale della Berlino Est controllata dalle spie della Stasi (Ministero per la Sicurezza dello Stato), per restituirci con un forte impatto emotivo le implicazioni umane e psicologiche di un torbido e temuto sistema di potere che si nutriva di sospetto e di paura, retto da personaggi meschini e corrotti, che perseguivano i propri squallidi scopi all’ombra di una sinistra ideologia. Una ideologia appunto, soltanto predicata, ma distante dal socialismo reale, amara verità e miseria vergognosa di una dittatura che alimentava ipocrisia, sospetto, delazione e un totale degrado dei rapporti sociali. Si torna quotidianamente su certe idee e si rivuole il muro, ma ci si dimentica della Stasi.
